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30/07/2025   MYALONE
  ''Chi mi ascolta merita il mio vero cuore, anche se fa un po' male...''

Sembrano appiattiti, tutti, dallo scroll compulsivo, con le parole che perdono peso in un mare di contenuti effimeri. Lui osa nella provocazione anche, dal suo moniker fin dentro i cliché della forma e scende in campo con qualcosa di profondamente anacronistico: la verità. “Due anime” è il titolo del primo album di MyalOne, ma è soprattutto il nome di una guerra intima, di una lotta senza tregua tra luce e ombra, tra rassegnazione e riscatto. Dodici tracce firmate in prima persona da Federico Bottini, questo il suo vero nome, che dal pop è approdato alla trap con la consapevolezza di chi sa che l’età non è un limite, ma un valore aggiunto se c’è profondità. Autodidatta, padre, imprenditore e poeta urbano, ha costruito questo album senza scuse e senza scorciatoie, insieme alla sua crew oggi stanziata al DopoLabStudio di Treviglio.

“Due anime” sembra una dichiarazione di rinascita. Sbaglio forse? ''No, non sbagli. “Due Anime” è proprio questo: una rinascita emotiva, artistica e umana. È il punto in cui ho smesso di scappare dai miei opposti e ho scelto di abbracciarli. Dentro ci sono tutte le mie contraddizioni, le mie fragilità, i miei slanci. È la fotografia di un’anima che ha smesso di chiedere il permesso per essere sé stessa''.

Esiste un motivo, un momento o una ragione precisa che l’ha fatta nascere? ''Sì, esiste un momento molto chiaro: una sera in cui tutto sembrava crollare e invece è rinato. Avevo bisogno di fermarmi, di guardarmi allo specchio e di chiedermi chi fossi davvero. Non un artista, non un imprenditore, non un uomo per forza forte… ma solo Federico. “Due Anime” è nata lì, nel silenzio di quella domanda, ed è diventata voce, suono, verità''.

E quanta rabbia devi conservare o esternare per una scrittura simile che ha tantissima dolcezza dentro? ''La rabbia è stata una miccia. Ma non quella che esplode, quella che scalda il cuore abbastanza da farlo aprire. In ogni parola c’è un fuoco trattenuto, ma c’è anche la pace che arriva dopo la tempesta. La dolcezza, in fondo, è il lato più puro della rabbia: quando smetti di combattere contro il mondo e inizi a raccontarti''.

E se parliamo di urgenza? Che per me significa anche rubare al caso e raccogliere tutto quello che capita… cosa ne pensi? ''Condivido in pieno. “Due Anime” è figlia di quell’urgenza. Non è stato un progetto costruito a tavolino. È successo. Mi è esploso tra le mani. Ho raccolto voci, sguardi, errori, sogni, e li ho messi dentro le strofe. È un disco che non poteva aspettare, perché ogni secondo in più sarebbe stato un tradimento verso ciò che avevo dentro''.

Autoprodursi oggi è una scelta coraggiosa. Che tipo di libertà ti sei preso con “Due Anime”, e a quale compromesso invece hai dovuto rinunciare? ''Mi sono preso la libertà più importante: quella di non dover chiedere “va bene così?”. Ho scelto ogni suono, ogni parola, ogni silenzio. Nessun filtro, nessuna strategia. Il compromesso è stato pesante: meno visibilità, più fatica, più rischio. Ma alla fine, io volevo verità, non numeri. E la verità non ha prezzo''.

Hai deciso di non nascondere nulla, né nella scrittura né nella voce. Hai mai avuto paura che questa sincerità potesse essere “troppa” per chi ascolta? ''Sì, e l’ho avuta ogni volta che riascoltavo una traccia in studio. Ma poi mi sono detto: se non ti metti a nudo, che senso ha? La musica non può essere una maschera, altrimenti diventa rumore. Preferisco essere “troppo” piuttosto che essere “finto”. Chi mi ascolta merita il mio vero cuore, anche se fa un po’ male''.