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10/09/2025
09/09/2025 DANILO RUGGERO
''Certe ferite non vanno chiuse, ma solo guardate meglio...''
Cantautore siciliano originario di Pantelleria, Danilo Ruggero ha costruito negli anni un percorso musicale che intreccia radici e sperimentazione, lingua italiana e dialetto pantesco. Formatosi all’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, ha collezionato riconoscimenti importanti come il Premio della Critica di Amnesty International a Voci per la Libertà e la finale del Premio De André. Dopo lavori come ''In realtà è solo paura'' e ''La sindrome del pesce rosso'', e brani che lo hanno portato sui palchi di festival e concorsi nazionali, l’artista torna oggi con “Puzzle”, un nuovo EP che conferma la sua scrittura intensa e viscerale, capace di trasformare fragilità e vissuto in canzoni dal respiro autentico.
Il messaggio di ''Puzzle'' sembra essere: “Non serve tornare interi per riconoscersi”. È così? ''Sì, ma intendiamoci: non è una certezza da manifesto. È la mia verità osservata dal mio angolo di vita, frutto della mia esperienza. Ho voluto mandare questo messaggio perché comprenderlo, a me personalmente, è stato molto utile per andare avanti, per disincastrarmi dalle crepe in cui mi ero infilato. Non sarà utile per chiunque magari. Io però allo specchio, a pezzetti, mi riconosco anche meglio di quando, in maniera nevrotica, cercavo a tutti i costi di tornare tutto intero.
“Puzzle” non nasce per offrire soluzioni ma per stare dentro al punto esatto in cui qualcosa si è rotto e si prende coscienza che non tornerà mai com’era prima. Per tanto tempo ho inseguito l’idea di ricompormi, di sistemare tutto, di trovare il senso nell’interezza. Ma più scrivevo, più capivo che l’identità si costruisce anche a partire da quello che manca e che certe ferite non vanno chiuse, ma solo guardate meglio. L’idea che si debba tornare “interi” per andare avanti è un mito tossico, un’illusione. Con ''Puzzle'' accetto quello che manca, quello che non torna. È un disco che non promette di aggiustare, ma di permanere. L’epicentro emotivo di questo EP sta proprio in quel momento di sospensione in cui non sai se quello che resta basterà, ma nel frattempo inizi a chiamarlo per nome. È questo che ci salva, secondo me: spesso è proprio nel frammento che finalmente ci si riconosce''.
Quanto conta oggi, per te, l’imperfezione in un brano? Ti è mai successo di rifare una canzone solo perché suonava “troppo finita”? ''Sì, mi è successo di rifare brani che mi sembravano troppo puliti, troppo perfetti. ''Elefanti'' ha avuto tre produzioni differenti prima di indossare l’abito con il quale è stato introdotto nell’EP. L’imperfezione per me non è un difetto ma un’apertura. È quel punto in cui anche l’ascoltatore può entrare nel brano perché ne riconosce la fragilità e la sincerità. Se un pezzo suona troppo rifinito, io spesso perdo interesse. Le canzoni di plastica, ipercompresse, iperprodotte, non lo so ma è come se non riuscissero a darmi la verità necessaria per essere capite. Preferisco le cose un po’ storte, le cose acustiche, le demo che ti lasciano addosso qualcosa che non capisci subito. Non a caso nell’EP c’è anche la versione homemade di ''Puzzle'' che è il primo arrangiamento un po’ claudicante ma che è anche schietto, perché è stato costruito sulla mia chitarra e voce, storto, sussurrato, urlato, spezzato. Volevo che si ritornasse a quella forma ancestrale delle mie composizioni. Volevo che anche l’ascoltatore comprendesse da dove siamo partiti e non solo il punto di arrivo''.
“Puzzle” è una canzone importante per te perché ti somiglia. In che modo ti somigliano gli altri brani dell’EP? ''“Puzzle” è quella che mi somiglia di più perché è l’ultima canzone scritta e finita, che ha avuto una fase di maturazione e di accettazione. È arrivata come una premonizione e poi, senza accorgermene, ha raccontato quello che sarebbe accaduto nei due anni successivi alla sua composizione. È come se avesse anticipato il mio tempo presente senza che lo avessi ancora neppure immaginato. Gli altri brani, invece, mi somigliano per un’altra ragione: perché parlano del mio passato, ma non in modo nostalgico. Raccontano pezzi di me che non sono più attuali, eppure continuano a muoversi dentro ogni mio gesto, ogni mia paura, ogni mio modo di amare, di permanere o di scappare. Mi somigliano perché io sono frutto del mio vissuto, perché anche se quel tempo non esiste più, ha lasciato impronte e quelle impronte formano il modo in cui adesso cammino. Se “Puzzle” è il mio presente in frantumi, gli altri brani sono i sedimenti su cui quei frammenti si sono depositati.
“Sapone” è il mio diario stropicciato, “Elefanti” il mio senso del limite, “Dagli alberi” quella parte di me che non riesce ancora a lasciarsi andare ma in cui fa capolino il principio della mia auto-accettazione. Ogni brano ha preso un pezzetto di me che non avevo mai avuto il coraggio di guardare con così tanta chiarezza. Non raccontano tutto, ma lo fanno senza filtri e a piccoli pezzetti.
Credo che tutti insieme, in ordine, mi rappresentino profondamente''.
Com’è cambiato il tuo modo di scrivere canzoni negli anni, rispetto al tuo primo EP? ''Non lo so bene in realtà. Forse prima avevo più urgenza di dimostrare qualcosa mentre oggi sento il bisogno di essere onesto e vero con me stesso, prima ancora che con chi ascolta. Scrivevo con più fretta, con più foga ma anche con qualche filtro in più. Oggi sento il bisogno di essere onesto e vero, prima ancora che efficace. Ho smesso di chiedermi se una canzone possa piacere o funzionare e ho iniziato a chiedermi, ancor prima, se sia necessaria. Credo sia cambiata anche la mia relazione con i silenzi: prima li riempivo, adesso li ascolto, li rispetto, li coltivo, ci abito dentro per lunghi periodi, perché so che è lì che si nasconde la materia buona.
Scrivere è diventato un modo per rallentare, non per arrivare. Un modo per sporcarmi le mani e affondarle in qualcosa che non mi dà subito risposte. Forse è cambiato, rispetto al primo EP, quando sono cambiate anche le intenzioni con cui lo facevo, quando è diventata un’esigenza o quando ho capito che lo era, che non potevo farne a meno. Le mie canzoni oggi scavano più in profondità rispetto a prima, sono più intime, non hanno paura di mostrare le mie interiora. Anzi, è proprio lì che puntano. Perché è lì che mi sento sincero, nudo, sventrato e pronto a dare in pasto agli ascoltatori tutto quello che ho, tutto quello che posso e posseggo''.
Qual è la cosa più inaspettata che ti ha detto qualcuno dopo aver ascoltato questo nuovo lavoro? ''Dopo una esibizione a Marcianise (CE) un gruppo di persone si è avvicinato e una di loro, dopo una serie di cose molto carine che mi ha detto riguardo all’esibizione, si è interrotta, mi ha guardato per qualche secondo negli occhi e mi ha detto: “Non so perché, ma mi sono sentita letta dall’interno mentre cantavi. Mi sono sentita veramente compresa, per cui voglio solo ringraziarti e dirti che ti voglio bene, anche se non ci conosciamo”. Nella sua semplicità questa frase, è stata inaspettata e quindi potentissima. Non ho saputo rispondere perché mi era salito il groppo in gola. L’ho abbracciata.
Non credo che quello che faccio potrà mai cambiare qualcosa nel mondo, ma se anche una sola persona si riconosce in quello che scrivo e si sente meno sola, compresa e magari anche messa nelle condizioni di leggersi o guardarsi da punti di vista che non aveva ancora guardato, allora tutta la fatica ha un senso, come ha senso continuare a scrivere, comporre, suonare e cantare''.
Cosa ti aspetta prossimamente? ''Voglio continuare a portare questo EP in giro, nella maniera più autentica possibile. Suonarlo dal vivo soprattutto nei contesti più piccoli. Magari proprio lì dove l’ascolto è più sincero. E poi tornare a scrivere e ad impegnarmi solo in quello, senza fretta. Voglio lasciare che siano di nuovo le parole buone a trovarmi. Non voglio più farmi il cruccio di ricercarle spasmodicamente. Credo sia solo tempo perso. Il mio amico cantautore Dadàmo mi ha detto una volta che, secondo lui, sono le canzoni a trovarti e non tu a trovare loro. È una visione molto poetica della musica che forse, sotto sotto, ha anche un fondo di verità''.