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24/09/2025
24/09/2025 AABU
''La musica la si può utilizzare come cura o, in certi casi, come specchio delle proprie fragilità...''
“Stammi Vicino” è un album che sembra quasi una seduta psicanalitica. Qual è stato il percorso personale ed emotivo che vi ha portato a costruirlo così? ''Le prime note di ''Stammi Vicino'' risalgono a circa sette anni fa.
Eravamo appena usciti dal tour di ''aabu'' (2018): svuotati di energie, ma ancora pieni di emozioni, abbiamo iniziato a buttare giù idee per un nuovo lavoro. Poi, nel frattempo, è successo un po’ di tutto. Il Covid ha inciso profondamente sia sulla vita della band che su quella personale, costringendoci a “distanziarci”, a rinunciare al contatto umano e a vivere più intensamente la solitudine.
In parallelo, ognuno di noi ha dovuto affrontare sfide e momenti difficili, quelli che solo il mondo adulto sa mettere davanti.
Questo ci ha obbligati a scavare dentro di noi, ad aprire stanze rimaste chiuse troppo a lungo. La chiave comune, però, è stata il desiderio di condividere, di raccontarci e aprirci: prima ancora che una band, siamo un gruppo di amici, una famiglia.
Ed è stata questa la nostra salvezza. Da lì ha preso forma ''Stammi Vicino''.
Avete scelto di affrontare temi delicati come la depressione e la solitudine. Come siete riusciti a mantenere un equilibrio tra intimità personale e universalità del messaggio? ''Crediamo che la risposta stia nel concetto stesso di arte.
Per noi, la musica è sempre stata lo strumento con cui riuscire a raccontare quello che ci portiamo dentro, a esorcizzare i nostri demoni e a dare un senso alla nostra urgenza espressiva.
In primo luogo, è una necessità personale, ma la speranza è che diventi anche un linguaggio universale capace di smuovere emozioni e far riflettere.
Il bello della musica è proprio questo: ognuno può trovarci il proprio significato, utilizzarla come cura o – in certi casi – come specchio delle proprie fragilità''.
L’elettronica è un elemento nuovo nel vostro suono. È stata una scelta spontanea o il frutto di una ricerca? ''Per noi l’elettronica è stato un po’ il simbolo del nostro diventare musicisti “adulti”.
Rispecchia le nostre vibrazioni attuali, ma anche i nostri gusti come ascoltatori sono cambiati. L’abbiamo vissuta come un percorso di maturità: ci siamo immersi in questo mondo infinito, a volte caotico come un labirinto, ma che ci ha permesso di giocare, sperimentare e divertirci.
Alla fine, abbiamo trovato il nostro sentiero, nuovi modi di comporre e un suono che ci rappresenta senza snaturarci''.
Quale brano rappresenta meglio la sintesi di questo nuovo corso? ''Probabilmente “Ho paura di me”, che chiude il disco.
È stata una delle prime canzoni che abbiamo scritto, la prima bozza risale addirittura al 2019.
Il testo racchiude bene il concetto dell’album, mentre la fusione tra strumenti tradizionali e sonorità elettroniche raggiunge, secondo noi, il giusto equilibrio.
È come se la nostra anima fosse rimasta intatta, ma oggi si presentasse al mondo con un abito diverso''.
Pensate che la musica possa ancora avere un ruolo “terapeutico” nella società iperconnessa ma emotivamente distante di oggi? ''Assolutamente sì. Per noi lo è stata, lo è e lo sarà sempre.
Con ''Stammi Vicino'' volevamo urlare che la vicinanza, il senso di comunità e la condivisione possono essere ancora una cura contro l’odio e la solitudine che questa società individualista spesso ci propone.
Oppure, semplicemente, può essere un modo per fare pace con sé stessi.
Alla fine, resta questo: un urlo nel silenzio che ci portiamo dentro. Perché, nonostante tutto, abbiamo ancora bisogno di urlare''.