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24/09/2006   STEFANO ROSSI CRESPI
  'Sempre meglio cantautore di cantante!'

Stefano Rossi Crespi è un cantautore. Non solo nel senso che si scrive le proprie canzoni (ormai lo fanno tutti, chi bene chi, spesso, male): lo è di più. Proprio nella accezione "anni 70-80", Stefano è cantautore nel modo di porgere le proprie note e le proprie liriche. Ha qualcosa da dire, questo è certo e palese all'ascolto di ogni suo brano, e noi lo lasciamo dire. Non solo metabolizzando a poco a poco il suo primo, splendido album "Vola via", ma anche cercandolo, intervistandolo, non lasciandogli un attimo di pace. E, alla fine, ne è valsa la pena. Cronaca di una mattinata passata a parlare di musica. Anzi, di Musica, con la M maiuscola. Sei contento del tuo primo album, di come è “venuto fuori” e di come è stato accolto da pubblico e critica? "Intanto ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione del disco. E’ stato un bel lavoro di squadra. Ritengo comunque un grosso privilegio aver avuto l’opportunità di “fissare” alcuni dei miei brani su cd: non potrei non essere contento. Quanto a come il disco è “venuto fuori”, posto che credo sia estremamente difficile giudicare il proprio lavoro, ebbene alcune cose mi piacciono molto, altre meno, credo sia normale: in generale quando riascolto il tutto tendenzialmente mi concentro di più sulle cose che potrei migliorare. Però credo che a un certo punto ci si debba fermare e lasciare che il disco viva una vita propria. Mi sembra comunque un lavoro, nell’accezione più nobile e meno scontata del termine, onesto, magari non sempre perfettamente a fuoco, ma sincero. C’è poi un altro aspetto molto importante a mio avviso: fare un disco ti consente di avere un punto di riferimento riguardo a quello che fai, ti aiuta a capire quali direzioni e sviluppi il tuo lavoro potrebbe avere: è un ottima base di riferimento. Quanto ai riscontri, riguardo al pubblico, a tutt'oggi non ho un pubblico molto numeroso: le persone che lo hanno ascoltato mi hanno parlato bene del cd, mi hanno chiesto delle cose, si sono magari emozionate e me lo dicono. Per quanto riguarda gli addetti ai lavori, a quelli che lo hanno ascoltato il disco è piaciuto, sono piaciute le canzoni, che poi sono la base di tutto". Ti ritrovi nella denominazione “cantautore”, da tanti ripudiata? E, nel caso opposto, come vorresti essere definito? "Sinceramente è una questione che mi annoia un po’, che non mi interessa: il termine 'cantautore' fa parte del nostro linguaggio e individua una certa categoria di musicisti. Si dice 'cantautore' e più o meno si capisce di cosa si sta parlando. Per la mia generazione il termine 'cantautore' era già più che presente quando siamo cresciuti, radicato e normale. Come definizione non mi dispiace. Nessun problema quindi. Nel mio caso poi, sempre meglio 'cantautore' di 'cantante', definizione che sinceramente, considerata la mia certo non prorompente capacità vocale e la mia non proprio irresistibile propensione al canto e ai vocalizzi nelle serate in compagnia o tra le mura domestiche, farebbe ridere. Vada per cantautore dunque, cantautore va benissimo". Hai cominciato al Folk Studio di Roma, celeberrima fucina di grandi talenti: raccontaci com’è andata e, magari, qualche aneddoto. "Sono arrivato al Folk Studio all’inizio degli anni novanta grazie a mia sorella, o meglio al suo ragazzo dell’epoca, anche lui musicista, che quando ha saputo che facevo canzoni mi ha convinto a portare un nastrino al locale. Mi sono quindi esibito prima la domenica pomeriggio, nello spazio dedicato agli esordienti, poi mano mano sono stato promosso alla programmazione serale. Le mie canzoni a Cesaroni, mitico “boss” del Folk Studio, piacevano. Ho avuto quindi il privilegio di essere considerato e stimato, e di poter suonare le mie canzoni in tante situazioni davanti a un pubblico. Il Folk Studio è stata per me una grande esperienza e una importante palestra. Approfitto di questa occasione, una volta tanto, per parlare non tanto di Folk Studio, di cui molti sanno tutto, ma proprio di Giancarlo Cesaroni: Giancarlo era una gran persona, una persona sicuramente difficile, burbera ma molto ironica, molto intelligente, schietta, profondamente pulita e coerente. Ed era una persona molto umana. Ricordo che lasciava la sua macchina aperta fuori dal locale, e capitava vista la stradina poco frequentata che qualche persona che evidentemente non sapeva dove andare ci si mettesse a dormire dentro. Alla fine dello spettacolo Giancarlo si sentiva quasi in colpa a dover svegliare queste persone per farle scendere dall’auto perché doveva andare a casa. Grande intenditore di musica e di persone grazie a un’esperienza fatta tutta sul campo, con anni e anni di ascolti. La filosofia del Folk Studio era la sua battaglia: fare musica, comunicare, stare insieme in una maniera in qualche modo diversa, unica, appesi a qualcosa di indefinibile ma che comunque c’era e accomunava. Era un piacere averci a che fare con Giancarlo, ci si facevano un sacco di risate. Giancarlo era “il” Folk Studio. Era lui il motore immobile di tutto. Ed era divertente anche al di fuori: ogni tanto lo raggiungevo a Capannelle la domenica (lui giocava ai cavalli) e lui mi chiamava “uomo ombra” perché era convinto che lo pedinassi nell’ippodromo per puntare sugli stessi cavalli suoi, visto che era lui l’intenditore. Mi chiamava prendendomi in giro “Lord Brummel” per la classicità a suo dire nel vestire e sempre prendendomi in giro mi diceva che avrei dovuto fare l’indossatore (certo se m’avesse detto bene sarei sicuro più ricco di ora). Caro Giancarlo, era davvero un grande. Se mi sentisse forse si arrabbierebbe, non gli piaceva che si parlasse di lui, ma a me non me ne importa. Lo sento un atto dovuto e un doveroso riconoscimento". Hai vinto il Premio Città di Recanati in trio con Pino Marino e Danila Massimi, sotto il nome PiSteDaPi, oltre 10 anni fa: che ricordi hai di quell’episodio? "Ricordo lo stupore, ero in una cabina telefonica, quando Pino mi comunicò che avevamo vinto: tra settecento e passa proposte avevano scelto noi e il mio brano 'Non varcare', insieme a un’altra decina di proposte. Che botta ragazzi! Poi mi ricordo le serate a Recanati: una gran confusione e spettacoli lunghissimi infarciti di musicisti singoli e gruppi, in aggiunta ai poeti, uno dietro l’altro senza soluzione di continuità: forse non la situazione ideale per dare una vetrina a degli esordienti… Anche se in fin dei conti la cosa che rimane di Recanati, ed è credo anche il motivo per cui bisogna essere più di tutto grati agli organizzatori, è il “titolo”, il “Premio”, il fatto di averlo vinto. E’ un fatto importante, che rimane nel tempo, un bel biglietto da visita. Comunque anche le giornate lì furono una bella esperienza: ricordo in particolare il bel rapporto e la complicità che si instaurarono in quei giorni tra i vincitori". Tanti i nomi importanti che hanno collaborato alla realizzazione del disco, a cominciare da Fabrizio Guarino, Riccardo Fassi, Alessandro Cercato, Danilo Cherni e tanti altri. Questo “mescolarsi” ha mantenuto intatte le intenzioni iniziali del tuo lavoro oppure ha cambiato in corso d’opera il disco? "La produzione artistica e gli arrangiamenti del disco sono di Fabrizio Fornaci: la sua regia, dall’inizio alla fine del lavoro, ha fatto sì che il disco mantenesse le intenzioni iniziali e seguisse la linea e il “copione” già stabilito prima di entrare in sala. Poi è ovvio che quando hai a che fare con dei musicisti così validi ognuno metta del suo secondo il suo gusto, il suo stile e la sua creatività, ma questo non può che essere un bene". Oltre 15 anni di attività per arrivare al primo cd: traccia un bilancio del tuo percorso finora compiuto ed un elenco di “sfizi” che vuoi ancora toglierti. "Riguardo ai 15 anni di attività mi fa piacere il fatto che tu li consideri carriera musicale a tutti gli effetti, visto che generalmente il percorso musicale di un musicista si fa partire da quando fa il primo disco, come se prima non avesse un passato, mentre generalmente anche prima di arrivare al disco per anni ci si fa in quattro in situazioni di tutti i tipi. Per fare il primo disco ci è voluto tempo, ma è stato un passaggio naturale e credo meritato. Ho semplicemente trovato delle persone a cui andava di farlo, che credono nel progetto. Quanto agli “sfizi”, sinceramente non ho particolari sfizi da togliermi: al momento non vivo il mio percorso musicale con ansia o in termini di rivalsa: vorrei essere così poco pigro e così poco incasinato e così poco indaffarato e così tanto voglioso da riuscire a trovare un giro di locali dove far sentire la mia musica, ecco. E poi magari, visto che nel frattempo ho continuato a scrivere, convincere il mio produttore a cominciare a pensare, con calma, a un secondo disco". Il tuo primo lavoro ha ottenuto il prestigioso riconoscimento da parte dell’IMAIE (Istituto per la Tutela dei Diritti degli Artisti Interpreti Esecutori): ma, allora, con tanti premi aggiudicati, sei davvero bravo o… un raccomandato?!? "Guarda, secondo me se fossi davvero un raccomandato non avrei fatto un disco dopo 15 anni, dà retta a me… Quanto all’esser bravo certo non sta a me dirlo, e non so neanche fino a che punto mi interessi la questione. Le canzoni per me sono come uno specchio, sono una necessità in alcuni momenti, mi aiutano a capire meglio delle cose che mi riguardano e altre che mi circondano. Sono un bellissimo modo “obliquo” per tirare fuori e dire delle cose. Un modo per comunicare e condividere qualcosa. Quando qualcuno ritrova qualcosa di sé nelle mie canzoni o “usa” una mia canzone per ritrovarci quello che gli pare la cosa mi sorprende e mi fa un grande piacere. Alle volte mi spaventa anche, perché mette di fronte al potere in parte inconsapevole e ingovernabile che le parole possono avere". Chiediamo spesso ai nostri intervistati di immaginare: domani spariscono dalle charts Ramazzotti ed i Blue e ti risvegli primo in classifica. Che succede? "Succede che mi chiederei se mi sono davvero svegliato, succede che rimarrei incredulo e sicuramente mi verrebbe da ridere, succede che penserei alla mia famiglia e al fatto che staremmo meglio economicamente, succede che mi porrei il problema di come gestire una situazione del genere, e alla responsabilità che una cosa così ti dà nei confronti delle persone che ti seguono". Altra domanda classica: si uscirà mai dall’attuale situazione di stallo della discografia, secondo te? Il peer to peer e gli mp3 uccideranno le produzioni musicali o, alla lunga, daranno nuova linfa al settore? "Io credo che tutto sommato quanto doveva accadere nella produzione e vendita di musica leggera sia già in gran parte accaduto. Si è giunti direi a una rilevante riduzione dello spazio di mercato disponibile e a un nuovo equilibrio tra l’utilizzo dei vari supporti. Con il download gratis, che fanno tutti, le copie pirata ecc. lo spazio di mercato si è di molto ridotto. E i discografici questo lo sanno: infatti già si sono spostati e aperti su altri fronti, come i telefonini e le suonerie a pagamento. Credo inoltre che ormai si possa dire che gli mp3 non hanno sostituito il cd del tutto né mai lo faranno o lo faranno solo in modo parziale, per un motivo semplice: perché io ascoltatore dovrei pagare ciò che si può scaricare gratis o copiare ottenendo un prodotto e un formato perfettamente uguale? In questo contesto invece a mio avviso è proprio il cd originale a riacquistare valore e a diventare un pezzo pregiato, un pezzo unico, perché io lo compro solo e soltanto se ritengo che ne valga veramente la pena, come accade quando esce il disco di un musicista che io seguo, o quando vengo colpito da uno che non conoscevo e che magari ho sentito dal vivo. Lo compro perché ci tengo ad averlo, voglio avere il libretto con i testi, la grafica che magari ha approvato il musicista stesso e tutto quanto. Se invece non ritengo che valga la pena di acquistare, non scatta questo “legame” con il musicista che mi porta all’acquisto, posso scaricare quello che mi pare senza pagare, ripeto, come fanno tutti, o copiarmelo e me lo sento con le casse del pc o con l’hi-pod, e costruirmi se mi và delle compilation personalizzate. Quindi magari è proprio sul settore cd che si dovrebbe lavorare - come mi pare si stia già facendo visto che i prezzi sono diventati abbordabili – tenendo magari più bassi i costi al dettaglio dei dischi delle nuove leve. Certo, in generale uno spazio di mercato che si riduce vuol dire che gli addetti ai lavori, musicisti compresi, faticano di più a guadagnarsi la pagnotta – o non riescono proprio a guadagnarsela - registrando e vendendo musica. E questo può pure dispiacere, ma a me sembra un processo irreversibile. Le misure protezionistiche e coercitive a mio avviso non hanno alcun effetto e forse sono pure ingiuste. Anzi, perché non legalizzare il download gratuito e compagnia bella? Tanto è un fenomeno diffusissimo e incontrollabile. L’unica arma è fare dei dischi ben fatti e delle belle canzoni, per ottenere maggiore attenzione. Se poi ci si sposta dalla parte dell’ascoltatore, questo nuovo stato di cose a mio avviso non è detto sia un male. Stiamo parlando di musica popolare in fin dei conti: perché non dovrebbe esserci anche l’opzione di ascoltarla facilmente e gratis, visto che è, appunto, popolare?". Da ultimo (altro classico): fornisci ai nostri lettori un valido motivo per acquistare il tuo album (che il sottoscritto, detto tra parentesi, consiglia caldamente…). "Io faccio canzoni, non le vendo, non le so vendere, non so neanche se mi vengono bene, figuriamoci se so vendere quello che scrivo, sono due attività del tutto diverse. Con tutto il rispetto e l’ammirazione per i commercianti e gli addetti alle vendite, io non sono né un commerciante né un addetto alle vendite di quello che faccio, non lo so fare, non è il mio lavoro. Magari consiglierei ai lettori di consultare questo sito alla sezione recensioni e di leggere cosa si dice del mio disco. Magari si incuriosiscono…". Certo, e perchè no? E magari, dalla curiosità, nascerà la voglia di entrarci, nel mondo di Stefano Rossi Crespi. Sarebbe un bel viaggio, ve lo assicuro. (Andrea Rossi)