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01/11/2016   LUCA BONAFFINI
  ''Credere nel vivere, e battersi per questo, sarebbe sufficiente...''

Gli anni '70-'80 hanno sempre un loro grande fascino, che ricordo porta nel cuore Luca Bonaffini di quel periodo musicale? Ha una chicca da raccontarci? ''Il libro “La protesta e l’amore” (edito da Gilgamesh) racconta decine di aneddoti incredibili. Il più divertente (tragicomico) riguarda la mia partecipazione, come emergente, al Festival di San Remo 1989. Ricordo che, mentre aspettavamo le risposte per la semifinale (nella mia categoria eravamo in 36!), gli addetti ai lavori, ovvero discografici, impresari, sotto-impresari, produttori, parlavano del cambio ai vertici della segreteria della allora Democrazia Cristiana. Se avesse vinto De Mita, dicevano, passano questi otto. Se avesse vinto Forlani, altri otto. Vero? Falso? Non saprei. Una cosa è certa: che successivamente Aragozzini (allora patron di San Remo) fu inquisito. Cosa cazzo centrasse la musica con la politica? Forse dovremmo chiederlo alla RAI del tempo…''. Perchè cantavate e facevate i cantautori? ''Prima di tutto perché li sapevamo ascoltare. Oggi si è persa l’intenzione di capire, elaborare vuol dire faticare e la gente non vuole più fare sacrifici perché è convinta che non porti a nulla. Ci mettevamo lì per ore a parlare (magari sterilmente di noi, o di uno scrittore latino assassinato da qualche regime totalitario). Forse erano masturbazioni cerebrali come direbbe Angelo. Però avevamo voglia di ascoltarci e di dire delle cose. Per questo facevamo “i cantautori”. Perché era un linguaggio popolare, colto ed emotivo al tempo stesso''. “La protesta e l'amore” cd, immagino un'esperienza emozionante per un Bonaffini giovanissimo che si ritrova a cantare con uno dei massimi esponenti della musica d'autore, e della protesta, cioè Claudio Lolli. Lei rappresentava di più la protesta o l'amore? ''Entrambe le cose ma in modo diverso. Negli anni '80 è svanita totalmente l’ideologia che teneva unita intellettuali e massa. E il modo di protestare è cambiato perché non c’era più l’appoggio dei partiti comunisti. I compromessi storici hanno omologato e avvicinato le posizioni antitetiche creando un nuovo e unico partito: quello del potere. E oggi ne paghiamo le conseguenze. L’amore, invece, è il mio. Quello personale e universale che, comunque, è riconoscibile al di là della Storia e delle sue interpretazioni''. E oggi? ''Oggi siamo in attesa. Aspettiamo Godot e il Superenalotto. Sperando di non finire nelle mani di qualche scannatore o tagliatore di teste…''. Non solamente cantautore, ma direttore artistico, regista teatrale, e negli ultimi anni anche scrittore. Le piace sperimentare, ed ama essere sempre in gioco. Da qui la decisione di tornare nei teatri? ''No. La decisione di restare nel luogo da me preferito per fare musica e per raccontarla, è legata ad un progetto ideato e sponsorizzato da un gruppo di lavoro di addetti ai lavori e appassionati, chiamato SALVATEATRI. Il progetto consiste nel mettere in condizioni i teatri di sperimentare formule e artisti diversi a costi zero. Non male, no?''. Nel libro a Lei dedicato dall'illustre scrittore Mario Bonanno, grande conoscitore della canzone d'autore, studioso di questi fenomeni chiamati “cantautori”, il Bonaffini si mette a nudo senza paure, confessa le sue debolezze, le fregature. Critico molto severo con sé stesso, uno strano poeta sognatore sempre però ancorato alle realtà vere della vita. Lo si capisce dalla nota “Chiama piano”, dal suo impegno continuo nel sociale, nell'affrontare sempre temi come l'omofobia, la disabilità o la discriminazione razziale... per fare qualche esempio. Quanto ha influito sulla sua carriera, e in che modo, essere sempre sé stesso portando avanti degli ideali senza cedere a compromessi di tipo commerciale? ''Non saprei. Sicuramente la gente è disattenta e disinformata, quindi se non si spinge molto sulla pubblicità si resta sepolti sotto i milioni di dati che ci arrivano ogni giorno. Mancano i canali per promuovere un certo genere musicale che, tra l’altro, non ha più nemmeno le industrie che lo sostengono. Il disco, quello grande e in vinile, aveva strutture ricche e importanti che lo avevano fatto diventare un oggetto di consumo e di culto al tempo stesso, alla pari dignità di un libro. Ora che si fa? Cultura solo coi social? Non credo proprio''. Quanto è cambiato nella scrittura in trent'anni di carriera Luca Bonaffini? ''Moltissimo e pochissimo. Credo di essere stato capace di scrivere alcune canzoni molto diverse tra loro che sono diventate dei paradigmi e perciò modelli sui quali fondare una creatività espandibile in orizzontale e in verticale''. Questa domanda per sapere se i cantautori, quelli veri, si evolvono con i tempi, o se rimangono ancorati alla loro epoca con i loro sogni, i loro amori e le loro proteste che ancora oggi sembrano di grande attualità. Si dice che questo genere musicale sia oramai di nicchia, ma questo tipo di arte è di grande cultura. Non pensa che sarebbe meglio che fosse più popolare, che la cultura andrebbe diffusa a grandi spazi? ''Certo. Ma non è solo un problema della musica d’autore. La verità è che oggi non esistono grandi spazi fissi, ma fenomeni di massa temporanei. Quindi, prova tu a beccarli al volo!''. Partendo dal presupposto che il futuro è un insieme del nostro passato, come giustifica questo nostro tempo privo di valori, di concetti, di ideali e volontà per realizzarli (mi riferisco ovviamente alla musica) visto che il nostro passato è ricchissimo di autori di grande spessore? ''Purtroppo è un’utopia pensare che il futuro sia la somma del “già stato”. La verità è che ormai procediamo ad una velocità assurda e, prima ancora di riuscire a capire cosa sta succedendo, le cose sono già cambiate almeno tre volte. Chiamiamo gli elementi che hai elencato sopra (ideali, concetti, valori, volontà realizzativa) in questo modo: acqua, aria, terra e fuoco. E se pensiamo in maniera più semplice regrediamo al principio di “vita”. Credere nel vivere e battersi per questo, sarebbe sufficiente''. Luca Bonaffini è erede di questa generazione di “Grandi”, ha avuto la fortuna di coglierne direttamente l'essenza, accompagnandone artisticamente uno per molti anni, scrivendo con lui, cantando con lui. Che impronte ha lasciato Pierangelo Bertoli nella sua vita, e nella sua carriera? ''Impronte di luce e di buio. La necessità della concretezza e della consapevolezza. La fine del sogno e l’inizio della realtà. Ma soprattutto, una grande esperienza umana''. A casa Bonaffini c'è un fiocco rosa, è nata C7 ART&MUSIC, ci parli di lei. ''Parlerà lei, o speriamo almeno faccia parlare di sé, molto presto. Per il momento ha solo detto la parola papà e in questo caso sono due: io e Alberto Grizzi, imprenditore musicale mantovano, con il quale abbiamo deciso di sfidare il mercato attuale, continuando ad affiancarlo con proposte alternative''. Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, un album, un libro, oppure un'esperienza nuova? ''Qualunque cosa sia sarà comunque nuova. Perché se proprio devo pescare dal passato, preferisco farlo con le orecchie e non con la voce o con la penna…''.