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12/02/2017   LUCA BONAFFINI
  ''Incontro con gli studenti'', intervista di Claudia Piccinelli

Si parla di musica oggi a scuola. Una bella opportunità a studentesse e studenti dell’IIS Luigi Einaudi di Chiari offerta da Luca Bonaffini, autore, compositore di musica, cantautore mantovano. Un po’ schivo, gli occhi nascosti sotto un cappello grigio a tesa larga, si dimostra generoso nel suo dialogo coinvolgente e sciolto. Nonostante la mattinata uggiosa di freddo e di pioggia, l’atmosfera si riscalda in fretta. L’aula magna cambia la sua veste rigida e formale, diventa uno spazio accogliente come rinnovato da un calore speziato, acceso di parole e musica. Ne scaturirà una lezione di vita.

Cos’è una canzone?
Preferisce un rapporto amichevole e dialogico, con il giovane pubblico. Sarà Samantha, chitarrista, a vincere la timidezza. Prende il microfono e risponde alla domanda: cos’è una canzone. “Sono parole che compongono una metrica, ogni parola ha un suono, unite formano una canzone”. Dalla chitarra di Samantha si fa un percorso a ritroso, fino alla musica di strada al tempo dei menestrelli, i cantimpanca, in piedi sopra panche per cantare storie e scuotere le coscienze. Invece, per la musica di corte, veniamo a sapere che Isabella d’Este è forse la prima cantautrice della storia: canta e compone musica su testi.

Perché “cantavamo e facevamo i cantautori?”
La storia della musica d’autore italiana, dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, introduce all’antico mestiere del cantautore. Le parole di una canzone nascono dal bisogno di esprimere quell’ingorgo di stati d’animo che albergano in noi. Serve la voce per poterle cantare. Nello spaesamento degli anni Cinquanta, dopo la devastazione della guerra, quando le disuguaglianze sociali rappresentano un ulteriore divario nelle opportunità, la canzone esprime il disagio interiore, il disagio sociale e politico. E i cantautori cominciano a cantare la loro protesta.

La musica può cambiare la comunicazione sociale?
Il riferimento va a Pierangelo Bertoli, classe 1942, colpito a 11 mesi da poliomielite, si fermerà in quarta elementare perché nessuno lo può accompagnare a scuola. Ma la musica sarà per sempre la sua passione. Nel 1976, registra un disco. Verrà trasmesso dalle radio libere. La sua voce si sente per radio, ma la televisione non lo invita. La sua diversità potrebbe danneggiare il mercato dell’immagine. Nel 1990, al festival di San Remo, Bertoli si presenta con tre ragazzi sardi, i Tazenda, e con la canzone ''Disamparados'', in lingua sarda. “In sos muntonarzos, sos disamparados/Chirchende ricattu, chirchende”: dà voce ai disimpari. Sono gli esclusi, i bambini abbandonati sulle autostrade, i vecchi trascurati, gli uomini talpa, tutta quella parte del mondo che vive ai margini della nostra società. Canzone provocatoria, per la società cieca. Il pubblico in sala applaude: fatecelo vedere di nuovo. Contro il regolamento, Bertoli ritorna in scena per la seconda volta. Un grande successo. Seguono 29 date al mese, mezzo milione di copie di dischi venduti. Dopo, si vedranno per strada tante carrozzine.

Quella notte con Bertoli?
Bonaffini racconta in un libro la notte in cui fu scritta ''Spunta la luna dal monte'', la versione italiana di ''Disamparados''. “In quella notte, tra il 6 e 7 gennaio 1991, dalla sera alle 9 alla mattina, sono stato testimone della capacità di scrittura di Bertoli. Da quella notte, la nostra vita sarebbe cambiata. Le notti diverse ci restano impresse”. Nella versione in lingua italiana, la speranza viene dalla luna.

E sollecitato dalle curiosità di Gentiana, Ons, Quatar, Giada… Cosa prova quando canta?
“Preferisco dire cosa provo non quando canto, ma quando scrivo. Mi piace quando sento, ascolto la parola. E’ uno strumento che dobbiamo imparare a usare. Quando comunico dò tutto. Ho scritto musiche ascoltando la lingua di altri popoli. Le parole hanno un loro significato difficilmente traducibile. Bisognerebbe frequentare i popoli per apprendere il significato profondo delle parole. La mia cura per le parole e per il testo vuole esprimere al meglio quello che intendo dire, e mi sforzo di farmi capire dagli altri. Le mie canzoni si rifanno alle canzoni popolari, come il canto spontaneo, suggestivo degli egizi nelle fasi della trebbiatura. Ma ascolto tutti i generi di musica, dal jazz alla musica tecno. Non credo ci sia gerarchia nella musica, sono arti diverse. E’ arte che si rinnova”.

L’arte si rinnova?
Lo testimonia Hassen, che si fa largo e improvvisa un suo pezzo di beatbox. Usa bocca e voce come strumenti, sua privilegiata forma di comunicazione immediata. Afferra il microfono e coinvolge il pubblico con una percussione vocale spontanea. Una più che meritata ovazione del pubblico. La voce unita alla tecnologia produce arte nuova.

I giovani oggi
Per Bonaffini sono meglio della sua generazione. “Sono stato un pessimo studente, ma oggi ho imparato a studiare le cose che mi piacciono e anche quelle che non mi piacciono. In passato ho lavorato come educatore professionale, in situazioni complesse. Ho conosciuto i giovani, imparato molto. Vorrei tornare in contatto con la generazione attuale. Ho voglia di continuare ad imparare da loro”.

Contrastare passività e conformismo…
A richiesta di un gruppo di studenti, pronti a fornirgli come supporto il testo della canzone, casomai dimenticasse qualche parola, il cantautore mantovano si esibisce con la chitarra: “E corri perfino se il branco ti porta al macello/ E dormi nel centro del fiume che corre alla meta”. Il centro del fiume, canzone scritta da Bertoli all’inizio degli anni Settanta, è una critica a coloro che ristagnano al centro del fiume, lasciando che le cose vadano, spinte dalla corrente. Due i modi per vivere la vita: aspettare che le cose succedano, come fermi nel mezzo di uno stagno, oppure seguire la corrente, combattere, e andare anche controcorrente. Per contrastare passività acritica e atteggiamento conformistico.

Cos’è lo stile e identità, per un cantautore?
Bonaffini commenta il titolo di una trasmissione televisiva “X Factor”: “X sarebbe l’elemento nel dna che permette di distinguerci, per avere di più. Invece ci vorrebbe il “fattore identità”. Come nel caso di Bertoli, erano gli altri a farlo sentire diverso. Volevano si presentasse in televisione con una coperta sulle gambe. Il suo progetto identitario, la conquista della propria personalità gli hanno consentito di esprimersi, diventare promotore di sé stesso, e portatore di un’identità sociale. Un possibile progetto per ognuno di noi.

''Chiama piano'': un messaggio è per tutti?
Scritta per Bertoli nel 1991, interpretata anche da Nek, parla di amore, disagio, distanze tra le persone che credono di non essere in grado di comunicare. “Quando il giorno resta fermo e decidi di volare”, non urlare, chiama piano. Un invito ad aprirsi al tempo lento delle relazioni, nell’ascolto dell’altro. A riscoprire il tempo delle opportunità, senza lasciarsi fagocitare dalla logica dell’efficienza. Piano, il tempo della lentezza.
(Claudia Piccinelli - www.claudiapiccinelli.it)