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31/10/2006   MOBY
  'Il mio greatest hits? Mi fa sentire... banalmente vecchio'

In tanti anni di giornalismo musicale non mi era mai capitato di visitare un hotel così "lussuoso" (e per una volta tanto l'aggettivo ci sta tutto...) come quello in cui il newyorchese Moby (all'anagrafe Richard Melville Hall) ha deciso di invitare la stampa per la presentazione della sua recente raccolta di successi intitolata semplicemente "Go - The Very Best Of Moby". E, allo stesso tempo, non ci vuole molto a notare il contrasto tra la struttura che ci ospita e l'immutabile presenza "normale" di una superstar (per sbaglio?) come Moby. Che apre la conversazione facendo, com'è facile immaginarsi, sfoggio di assoluta modestia: "Questo disco mi fa sentire banalmente vecchio" (Richard ha 41 anni), "Sai, tutti i 'greatest-hits' producono questo effetto in noi artisti... E poi mi riempe anche di genuino stupore. Lo stupore di essere invitato ai party assieme a Justin Timberlake e Christina Aguilera, giovani con cui non ho nulla da spartire. Ebbene sì - prosegue il mago dell'elettronica - non avrei mai immaginato di fare il musicista di professione: anni fa mi vedevo destinato a una carriera da insegnante di college che avrebbe coltivato l'arte di scrivere canzoni solo come innocente passatempo...". Insomma se si volesse dare un significato inequivocabile a termini come understatement e malinconia, il (mancato) "professor" Moby farebbe davvero al caso nostro... Dato che nel tuo recente "Best Of" gli esempi non mancano, per te come nasce una bella canzone? "In tutta franchezza non lo so. E' molto difficile, se non impossibile, stabilire una formula a priori. Su questa terra, infatti, ci sono brani complessi come 'Band on the run' di Paul Mc Cartney ma anche melodie come quella di 'Down child' di John Lee Hooker basate su un solo accordo e senza nemmeno la batteria... Eppure sono entrambe incredibili!". D'altro canto l'ispirazione per il tuo nuovo singolo "New York New York" da dove proviene? "Dal fatto che, esattamente come i miei idoli di gioventù tipo Lou Reed, anch'io volessi comporre un brano per la mia città natale... Quando dedichi qualcosa a New York - pensa per esempio a 'Walk on a wild side' - finisci inevitabilmente per cadere nella celebrazione dell'edonismo e così ho fatto anch'io. 'New York New York', dunque, non è altro che una stupida e banale canzoncina pop interpretata da Debbie Harry che, tra parentesi, si è fatta pregare non poco: mi ci sono voluti, infatti, circa due mesi di contatti per invitarla in studio...". A proposito della "Grande Mela", sei stato alla chiusura dello storico club CBGB's avvenuta recentemente? "No, non ci sono andato perchè quella sera avevo in concomitanza sulla mia agenda un compleanno di un mio caro amico. E dato che gli accrediti per assistere alla serata finale del CBGB's erano limitatissimi (circa 290 biglietti per tutto il jet-set newyorchese: fate un po' voi...) e quindi non potevo portarmi dietro ospiti, ho preferito lasciar perdere e non incrinare così una bella amicizia (ride)". Un semi-inedito dell'album è "Slipping Away" (Crier La Vie) in cui collabori con la cantante francese Myléne Farmer: come vi siete conosciuti? "Beh, lei era una mia cliente abituale al Teany's (la celebre sala da thè aperta da Moby nella Lower East Side di Manhattan) e manco immaginavo che fosse una cantante di successo nel suo paese... Poi, una volta che ero a Parigi, ho visto il suo volto su di un manifesto e da lì abbiamo iniziato a conoscerci meglio. Sempre in quel luogo che, nel frattempo, aveva cambiato gestione...". Cosa? Il Teany's non è più tuo? Te lo dico con una punta di tristezza... "Purtroppo quando ho rotto con la mia ex-ragazza ho preferito lasciarle quel locale, esattamente come si fa con i figli dopo il divorzio (fa una smorfia sarcastica). Però ci vado ancora a prendere le mie tisane preferite: restano sempre le migliori di New York!". Quali altri luoghi apprezzi della città che "non dorme mai"? "Lo so, sarò banale e - come risposta - farà tanto 'ufficio del turismo' ma per me i parchi newyorchesi sono davvero il massimo della multi-etnicità e del vivere in armonia con la natura: Central Park, Southside Park, Victorian Gardens, etc. sono tutte location incredibili e non saprei davvero dirti la mia preferita...". E i pezzi contenuti su "Go - The Very Best Of Moby" sono anche loro i tuoi preferiti? Non si è un po' oscurata la prima fase della tua carriera puntando su tutti quei singoli da hit-parade estratti da "Play" e "18"? "Ti dirò la verità: la scelta finale della scaletta è stata curata personalmente da Daniel Miller, il boss della Mute Records (oltrechè lo scopritore dei Depeche Mode). Sai, fosse stato per me, avrei optato per delle canzoni che forse nessuno avrebbe voluto ascoltare nel salotto di casa sua (sorride). Ma con Daniel va così: lui ha più orecchio di me per certe cose...". Ti riferisci a qualche episodio in particolare? "Sì, prendi 'Porcelain' che stava su 'Play': io non credevo davvero diventasse quell'hit-single che poi si è rivelato essere! Pensa che, fino all'ultimo, non volevo nemmeno metterla sull'album... E, allo stesso tempo, il mio disco preferito tra tutti quelli che ho realizzato resta 'Animal Rights'...". Che in realtà ha venduto pochissimo o quasi niente... "Come volevasi dimostrare (sghignazza)!". Non era il caso di inserire nella raccolta anche "Make Love Fuck War", la tua "liasion" con i Public Enemy? Quel controverso brano forse non ha mai avuto la giusta esposizione su scala mondiale e, dato il suo forte messaggio pacifista, avrebbe meritato maggior fortuna... (Moby si illumina) "Sono completamente d'accordo con te ma, credimi, sarebbe stato troppo complicato. I diritti di quel pezzo, infatti, appartengono a troppa gente dato che uscì sulla compilation ufficiale delle Olimpiadi di Atene e tornarne in possesso ora sarebbe un incubo legale non da poco...". Cambiamo argomento: di solito i "Best Of" sottintendono anche un punto a capo nella carriera di un artista... Tu come la vedi? "Non lo so. Questo è il tipico caso in cui la domanda è migliore della risposta. Non conosco dove mi condurrà la musica in futuro ma, allo stesso tempo, la mia creatività resta comunque su standard abbastanza elevati: ho già pronte circa trecento-quattrocento canzoni da cui preleverò le migliori per il mio prossimo cd...". Sai già quando uscirà? "Probabilmente a settembre del 2007. Ho molto tempo davanti a me per lavorarci con calma dato che non porterò quest'ultimo album in tour...". Arriverà qualcos'altro, a nome Moby, nel frattempo? "Ho praticamente terminato la colonna sonora per 'Southland Tales', il nuovo film di Richard Kelly (il regista di "Donnie Darko") ma, dato che la pellicola allo scorso festival di Cannes è stata un flop clamoroso, non so davvero se e quando giungerà nelle sale...". Che musica ascolti ultimamente? "Poca, pochissima elettronica e molta musica folk, country-western in generale, risalente agli anni '20 e '30 del secolo scorso. Per quanto ci siano degli artisti nuovi che sanno ancora intrigarmi, la purezza di un 'Blind' Willie Johnson - che incideva i suoi dischi con solo un microfono e la sua chitarra - resta ancora irraggiungibile...". Trovi ancora tempo per dedicarti alle tue battaglie sociali? "Certamente: lavoro a stretto contatto con la 'Humane Society', un'associazione americana che si occupa della salvaguardia e della difesa degli animali. Negli ultimi tempi abbiamo pure vinto una causa contro una grande azienda specializzata nella produzione dei gelati obbligando questi signori a non sfruttare le galline per i loro sporchi affari. Te lo immagini cosa comporti la produzione di 40 milioni di uova all'anno? Solo sofferenze e crudeltà verso i polli da batteria...". Ma un animalista convinto come te possiede cani o gatti? "No, perchè sono sempre via di casa per lavoro e non potrei occuparmi di loro come vorrei: perdipiù tenere un cane in un appartamento newyorchese è diventata una vera e propria impresa dato quanto sono poco spaziosi questi ultimi! Però amo qualsiasi tipo di animale e spero presto di poterne adottare uno". Senti, ti sei mai sentito una sorta di "traghettatore emotivo" a cavallo della fine del secolo scorso? In fondo molti temi, malinconie e sentimenti contenuti in "Play" (1999) hanno finito per anticipare l'11 Settembre e tutta quella tristezza cosmopolita che il terzo Millennio ci ha fatto vivere e respirare in questi anni... "Questa è davvero un'ottima domanda... Ad essere sincero non ho mai riflettuto più di tanto sul mio ruolo effettivo di, ehm, 'profeta'. Anche in questo caso, infatti, devo rifarmi al mondo animale: se mai c'è stato un sentore da parte mia che qualcosa di brutto dovesse succedere, beh si è trattato di una reazione naturale. Esattamente come gli animali si agitano prima di un terremoto... Il mio, insomma, è stato puro istinto".(Simone Sacco - Alice Musica)