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28/04/2017   FABIO CINTI
  ''Sento il dovere di prestare attenzione a quello che scrivo e a come lo scrivo...''

Ospitiamo, tra le pagine del nostro magazine, uno dei più interessanti cantautori del panorama italiano: Fabio Cinti. Originario di Roma, dopo una lunga formazione di studi, che vanno dalla filosofia al teatro, dal cinema alla musica, si trasferisce a Milano. Qui inizia la sua storia discografica e la collaborazione con Morgan. Lo intervistiamo in occasione dell’uscita del nuovo album “Forze Elastiche”.

Benvenuto Fabio su MusicMap. “Forze elastiche” è il tuo quarto album di inediti (ed il sesto in studio). Un lavoro che è considerato ambizioso e stratificato: ti ci riconosci nella definizione che hanno attribuito al disco? ''Bisogna sempre capire qual è il riferimento. È chiaro che un disco come ''Forze elastiche'' risulta ambizioso se lo paragoniamo a dischi che sono puro pop commerciale travestito da cantautorato. Se invece il riferimento è proprio il cantautorato, quello vero, allora non credo sia ambizioso. Che sia un album stratificato invece è vero, le canzoni raccontano della nostra vita e, se si vive con un minimo di curiosità, di cose da dire che si intrecciano e concatenano ne hai tante''.

20 tracce (di cui 14 inediti, 5 intermezzi e una cover) rappresentano, per il mercato odierno, comunque un’operazione azzardata per la lunghezza che sfiora l’ora di ascolto. Presumo che non si sia data importanza a questo fatto ma piuttosto al lasciar fluire l’arte nella sua forma più spontanea, senza calcoli prestabiliti. E’ cosi? ''Non credo ci sia altro modo, se si lavora sganciati dalle finte regole del mercato. Ogni volta che un album ha successo dimostra che quelle regole non valgono, che valevano solo per quel determinato disco. Non sono comunque bravo a fare i calcoli, anche a scuola, mi venivano meglio i temi! Quanto alla lunghezza, se un pittore si mette a dipingere credo la dimensione della tela sia proporzionale a quello che vuole disegnarci, alle proporzioni che usa…''.

Rispetto ai lavori precedenti, si avverte la sensazione che il pregevole apporto di Paolo Benvegnù alla produzione abbia reso la tua scrittura più fruibile, più evidente rispetto alla maggiore cripticità che ti caratterizzava in passato. Quanto è stato importante confrontarsi con lui? ''Paolo è stato una guida, anzitutto. Mi ha fatto capire, sempre di fronte alle mie scelte, quale fosse quella giusta, quella che mi avrebbe reso più evidente e che avrebbe dato a ogni brano un impatto emotivo più importante. È una dote, quella sua, che necessita di una sensibilità e di un rispetto fuori dal comune. Mi confronto con lui anche adesso, e c’è uno scambio molto bello e intenso''.

L’album è uscito anche in formato doppio vinile e confezione apribile. Indubbiamente un bel packaging che ha richiesto un certo impegno per pubblicarlo. Perché la foto della front-cover l’hai sostituita con quella che era all’interno del CD? Per dare maggior risalto a Giuseppe Palmisano (autore dello scatto), per non darla vinta ai benpensanti (visto la censura che hai subito da parte di Facebook) o cos’altro? ''L’idea delle cover diverse era in progetto fin dall’inizio, prima di pubblicare anche la prima versione, quella del CD - poi censurata da Facebook. Abbiamo trovato interessante, con Francesco Enea - il direttore dell’artwork di Marvis LabL - visto il materiale di Palmisano, differenziare i due oggetti, il CD e il vinile, soprattutto perché la natura degli scatti rendeva diversamente rispetto alla dimensione di stampa, più piccola per il cd più grande per il vinile, soprattutto per la foto interna''.

A detta dei pochi negozianti di dischi rimasti, sembra che il vinile gli stia dando una mano a galleggiare. Credi che sia un segnale incoraggiante di scoperta anche da parte dei giovani o sia solo una moda passeggera? E, nell’ intenzione di far uscire il tuo lavoro anche in vinile, c’era anche questa constatazione? ''Spesso le mode si mischiano con alcuni cambiamenti necessari. Il vinile è sicuramente anche una moda, però è un oggetto bello indubbiamente, conserva il suo fascino e, soprattutto, dà molta più giustizia all’album, soprattutto se non è un prodotto di consumo stagionale. In questo momento forse è più interessante, da un certo punto di vista, far uscire solo il digitale e il vinile, senza il cd''.

Siamo in un periodo dove i talent show stano uccidendo la creatività compositiva a fronte della sola richiesta del pubblico, e gli artisti, piuttosto che tentare di lanciare una moda, ne sono succubi e snaturano la loro spontaneità, sottostando alle regole di mercato, in quanto oggi i discografici più che un artista cercano un pubblico già consolidato dallo stesso attraverso i Social. Cosa pensi in proposito? ''Che è così. Le mode del pubblico influenzano molto le produzioni e perfino l’aspetto dei cantanti. David Bowie piegava il pubblico alle sue idee e alle sue mode, e così vedevi e vedi i fan con i capelli di Ziggy Stardust eccetera. Quello dovrebbe essere un riferimento. Se gli artisti sottostanno alle esigenze del pubblico, vuol dire che sono solo dei portavoce''.

C’è un gran lavoro nei tuoi testi (ed alcuni di Mauro Mazzetti). Li consideri come una scultura, in cui occorre scolpirli, cesellarli, smussarli in modo che non assomigli banalmente a qualcosa di già sentito? ''Abbiamo un bagaglio del passato così importante, vario e significativo, che - almeno personalmente - sento il dovere di prestare attenzione a quello che scrivo e a come lo scrivo. I baci sulla spiaggia con le labbra sporche di sabbia andranno sempre di moda, a partire da Gino Paoli, ma la mia ricerca va in un’altra direzione. Forse è un tipo di emozione meno immediata, lo capisco, ma fortunatamente non siamo tutti uguali''.

Senza accennare ai riferimenti a Battiato che, immagino, ti hanno perseguitato in questi anni, a quali stili ti sei ispirato di più? Si avvertono echi di Pink Floyd soprattutto negli episodi in inglese, di brit-pop, di progressive e dei grandi cantautori americani. Sei cresciuto con questa musica? ''Ho amato e amo molto i Roxy Music e Bryan Ferry (In “Io Milano di te” c’è un chiaro riferimento), Brian Eno, i Japan, gli Ultravox, Lou Reed e molti altri del passato… Dei più recenti The Divine Comedy, gli Eels, Steven Wilson, Bon Iver, gli Elbow. E poi, naturalmente, c’è la musica italiana e la musica classica''.

Parliamo del nuovo video “Mondo in vetrina”, in cui si vede un vecchio televisore americano che trasmette una valanga di immagini, quasi un precursore di quello che sarebbe poi diventato YouTube. C’era, forse, anche questa intenzionalità nello storyboard del video? ''No. L’idea principale del video è legata a Facebook. Il video infatti deve essere visto attraverso l’applicazione che abbiamo creato appositamente e che prevede l’accesso alla visione dopo essersi connessi con il proprio account al social network. Così facendo, nel televisore, assieme alle immagini di repertorio scorrono le immagini dell’utente connesso. Questo, in genere, secondo quando abbiamo sperimentato, provoca una specie di smarrimento: le proprie immagini, i propri selfie, le foto di famiglia, di Natale dei compleanni eccetera, mostrate fuori contesto (il nostro modo in vetrina), dentro un televisore qualunque, in un albergo qualunque, perdono di significato e riportano alla realtà sottolineando quanto Facebook sia un surrogato della nostra vita (distorta) alla mercé di chiunque. Al di là delle impostazioni sulla privacy, mettiamo una parte di noi stessi lì dentro e molti, quando guardano i nostri contenuti, hanno la stessa reazione che provoca quel video''.

La tua collaborazione con Morgan è consolidata da anni e l’abbiamo apprezzata anche in marzo nel tuo concerto di Bologna. Cos’è che può far durare un lungo sodalizio tra due persone, all’apparenza, diametralmente opposte? Cosa pensi che apprezzi di te Morgan: il tuo profondo spirito ponderativo, la tua onestà intellettuale, il tuo modo di intendere l’arte o altro? ''Noi due siamo diventati prima amici. Voglio dire che, nonostante il primo incontro sia avvenuto comunque in un contesto musicale, prima di iniziare a fare cose di musica assieme, abbiamo trascorso del tempo a parlare di altro, di noi, di quello che ci piace, a fare altro, guardare film, uscire, come naturalmente accade tra due persone che si legano in un rapporto di amicizia. Questo, credo, sia la base di un rapporto così consolidato. Ci fidiamo l’uno dell’altro, ci confidiamo, ci telefoniamo per chiedere consiglio l’uno all’altro, ci invitiamo per i compleanni… Naturalmente poi c’è la musica''.

La presenza di nomi importanti come Nada, Massimo Martellotta, TheNiro, Alessandro Grazian ha dato palesemente un valore aggiunto all’album. A parte Martellotta, con il quale condividi anche una storica amicizia e una stima artistica incondizionata, com’è nata la proposta di collaborare? A bocce ferme, sei rimasto soddisfatto del risultato ottenuto oppure, magari, hai avuto la sensazione che si poteva ottenere di più? ''Sono tutte persone con una sensibilità molto spiccata e pubblicherei quello che fanno anche senza averlo ascoltato prima''.

E’ palese che l’immenso Peter Gabriel (che hai onorato con l’elegante cover di “Biko”) sia per te influente anche in certe sonorità, come quella tipica batteria “chiusa” che si sente nell’intro di “Mondo in vetrina”. La scelta di “Biko” è dovuta al toccante tema che tratta e/o per il sound ipnotico e tribale che caratterizza il pezzo? ''I motivi per cui ho deciso di inserire una mia personale versione di ''Biko'' sono molti. C’è un fatto personale e intimo, legato all’amicizia, e un fatto legato ai ricordi, al mio passato. Ho voluto che fosse una specie di sfogo e di preghiera allo stesso tempo, per questo ho voluto che fosse registrata dal vivo, in un teatro vuoto''.

Son passati 4 anni dalla pubblicazione del tuo libro “Un anno d’amor(gan)”. A quando una prossima incursione letteraria? Inoltre, hai mai pensato di completare la trilogia artistica girando anche un film? In definitiva, possiamo sperare che la musica (e l’arte tutta) possa tornare a essere valorizzata come merita? ''Ho scritto e scrivo moltissimo (parlo di narrativa o saggistica), ma per pubblicare dovrei avere qualche certezza in più su me stesso che ancora non ho. Per il resto, ho creato Marvis LabL e lì, anche se il mio ruolo non è sempre solo quell’artista, è interessante vedere nascere e crescere progetti di natura varia, fotografia, teatro, letteratura ecc. Marvis LabL è un piccolo bunker che ci protegge mentre fuori impazza la guerra. Io, faccio quello che posso''. (INTERVISTA A CURA DI: MAX CASALI)