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24/04/2018   SAM PAGLIA
  ''Credo di essere l’opposto della modernità, ma tanto la modernità ha le ore contate...''

Oggi incontriamo Sam Paglia, virtuoso tastierista, disegnatore e scrittore, definito “Mister Hammond”. L’occasione è quella di parlarci del suo debutto vocale “Canzoni a tradimento” (prodotto con Bengi dei Ridillo), dopo un lungo percorso di dischi strumentali, sonorizzazioni e colonne sonore.

Ciao Sam, per iniziare potresti brevemente raccontare ai lettori la tua origine e formazione artistica? ''Ciao! L’origine di tutto nasce da una forte passione per la musica e il gusto per l’intrattenimento, divertire e regalarsi ad un pubblico sperando di aggiungere un piccolo tassello al gigantesco mosaico dell’Arte. Ho una formazione musicale da autodidatta, ho cominciato da bambino con una tediosissima scuola di musica e poi ho ripreso a studiare da solo attorno ai 15/16 anni. Devo tantissimo alle migliaia di ore di ascolto di tantissima musica e al tentativo di riprodurla sulla tastiera, dalla lirica al country, dal blues fino al jazz e colonne sonore''.

Da quanto tempo meditavi questo esordio cantautorale, e quanto è stato propizio l’intercessione di Bengi per la finalizzazione del progetto? ''Ho sempre scritto tanto, se dovessi stancarmi della musica credo che mi dedicherei a romanzi o racconti. La musica italiana mi ha sempre incuriosito ma il freno a non intraprenderla in prima persona è stato per la paura di non avere una voce abbastanza interessante. Oggi questo non sembra essere più un problema, il bel canto sembra una peculiarità d’altri tempi e in radio si sente davvero di tutto. Conosco Bengi da molti anni, come me ha sempre fatto parte di quella branca musicale poco considerata dalla critica perché disimpegnata. In Italia c’è sempre stato un po’ di snobismo per la musica ritmata di matrice nera: o fai del rock, o fai musica di denuncia, o fai del reggae-folk da pogo, oppure, come negli ultimi anni, dell’indie citazionistico dove viene esaltato l’intimo del trentenne disagiato tra riletture pop e trash anni '90. Adesso per fortuna le cose stanno cambiando: ho grande fiducia nel sano nichilismo degli adolescenti e nella musica Trap, è una rottura generazionale vera, simile al punk, il legame col mondo adulto torna ad essere sottile e fragile se non inesistente e questa cosa sovvertirà non poco l’equilibrio del modo discografico. Bengi sapeva che avevo nel cassetto il sogno di un disco cantato e trovandosi in sintonia col mio mondo ha deciso di produrlo. E’ stato un lavoro duro e sebbene ne sia piuttosto soddisfatto, non credo che il mercato abbia bisogno di un altro disco cantato di Sam. Uso un linguaggio semplice (al contrario di una certa tendenza di scrittura odierna fatta di parole colte, usate più per stupire più che raccontare) ma denso e forse troppo legato alla mia generazione. Credo di essere l’opposto della modernità, ma non è un limite vero in quanto anche la modernità ha le ore contate. Chissà, è un mondo pieno di sorprese...''.

Nell’album si respira quel mood tra il malinconico, l’ironia e il divertissement che caratterizzava certi impatti con Jannacci e Gaber. Oltre agli artisti citati, ci sono altri grandi riferimenti ispirativi? ''Qualcuno ha fatto il nome di Piero Ciampi, che conosco ma non abbastanza bene da sentirmi direttamente influenzato. Musicalmente potrei dire Napoli Centrale o Toni Esposito, Lelio Luttazzi per l’ironia, Bruno Martino per la sintesi, Califano per il coraggio, Endrigo per la dose di malinconia, il primo Capossela per l’ispirazione e la capacità di tenere il palco coi suoi monologhi, ma anche nomi emergenti e validi musicisti che trovo interessanti e coi quali mi diverto a creare falsi antagonismi e risse verbali quando ci si incontra, come Giacomo Toni o i Supermarket''.

Tanti lavori di sonorizzazioni e colonne sonore denotano una costante scelta di percorso: cosa ti ha portato a perseguire questo preciso obiettivo? L’amore per il cinema, la convinzione di sentirsi più musicista che cantante o cos’altro? ''Scrivere musica da sonorizzazione sapendo che verrà usata tante volte e sempre in maniera diversa dà un senso di libertà maggiore e responsabilità limitata. Quando scrivi canzoni, a meno che tu non sia bugiardo, sveli tanto di te e ti metti a nudo. E’ più vincolante e faticoso''.

L’incontro con registi come Bortone, Comandini, la Uni, Fattore e, soprattutto, Max Croci hanno arricchito, senz’altro, il tuo background artistico: con chi hai riscontrato una maggiore sinergia e chi, invece, è stato il più esigente e perché? ''Fortunatamente sono sempre riuscito ad accontentare tutti questi senza diventare qualcos’altro. Credo che il più esigente sia Max Croci perché grande esperto di colonne sonore, la sua competenza in materia e’ impressionante e trova nel suo archivio infinito sempre l’esempio giusto da seguire o a cui far riferimento''.

In “Canzoni a tradimento” si nota un largo uso di tastiere vintage, indispensabili per ricreare le fascinose ambientazioni del disco, quasi a voler decretare la magia e l’intramontabilità emanate da Fender Rhodes, Clavinet, Moog. In che modo, invece, sono cambiate le tastiere di oggi e quanto uso ne fai? ''Si dice vintage per indicare un mondo ben preciso, ma per me Moog, Rhodes o Clavinet sono sonorità senza tempo. Paradossalmente oggi è molto piu’ datato un disco di 5 anni fa nel quale al suo interno sia stata usata una tecnologia all’avanguardia per quei giorni. Non c’è gruppo rap o dance americano che non abbia sul palco un Rhodes o un sintetizzatore analogico tipo Moog o Prophet 5. La ditta Moog, ad esempio, dopo aver rimesso in produzione alcuni synth che ricordavano il Minimoog ma con aggiunta tecnologica di memorie e altri mille possibilità, si è arresa alle richieste di mercato ed ha ripreso la produzione del Minimoog identico a come lo avevano prodotto tra il 1970 e il 1981. Il classico è oltre il vintage. Di tastiere moderne ho solo un piano digitale Yamaha da pochi euro, leggerissimo, una specie di taccuino per i miei appunti''.

Nell’ampia miscellanea di stili espressi nella tua carriera, dal jazz al lounge, dal soul al funk e tanti altri, qual è quello a cui fai maggiormente ricorso anche con il Sam Paglia Trio? ''Beh, direi che la nostra forza sta soprattutto nel soul jazz alla Jimmy Smith o alla Jack McDuff, e nelle composizioni che mischiano Brasile e Italia, un po’ come poteva fare Piero Piccioni o l’immenso Armando Trovajoli. Ma le influenze sono davvero tante''.

Questo esordio vocale è, indubbiamente, un omaggio alla storica canzone d’autore, con chiari riferimenti a Paolo Conte, Lauzi, Bruno Martino, oltre ai già citati Jannacci e Gaber: chi riscontra questi accostamenti, ti disturba o ti onora? E a quali dei 10 brani sei legato di più? ''Beh, non posso che essere onorato da chi mi accosta a questi artisti enormi, recentemente mi hanno accostato anche ad Alberto Radius e Claudio Lolli, artisti che ho ascoltato pochissimo a dire il vero. Il brano a cui sono piu’ legato è ''Grande Città'', credo di essere stato piuttosto bravo ad unire la scrittura complessa con il testo senza perdere la giusta tensione drammatica del brano, un brano che parla della mia lunga permanenza a Londra senza mai nominarla, un ritmo dispari in 11/8 sul quale si stende una composizione non facile ma tuttavia orecchiabile''.

L’album esce anche in versione vinile. Cosa ti ha spinto a osare un’operazione non proprio usuale per la scena Underground? Il ritorno al “back to black”, la voglia d’immortalare in “grande” un lavoro in cui credi molto o cos’altro? ''Mah, il vinile ormai è una consuetudine del mercato internazionale. Personalmente per me un disco è da considerarsi tale solo se anche edito in vinile. Però, mentre all’estero il formato compact disc è ormai considerato il passato e il vinile lo supera nelle vendite, in Italia ancora non va tantissimo, ci vorrà tempo''.

Viste le lusinghiere recensioni che stanno uscendo per “Canzoni a tradimento”, è auspicabile un bis quanto prima? E, visto che (come dici tu) ci hai preso gusto, continuerà anche per il prossimo lavoro il sodalizio con Bengi ? Infine, qual è il messaggio primario che volevi trasmettere con queste canzoni? ''Non so davvero che rispondere. Vale un po’ come per il discorso del CD, in Italia se il pubblico si lega ad un suono non è disposto a perdonarti subito un cambio di rotta. Per questo nella maggior parte dei casi mi chiedono il live strumentale del Trio, il tradimento col passaggio alla canzone d’autore ci metterà un pochino ad esser digerito e i prossimi mesi serviranno a convincermi se entrare nella canzone fino al collo oppure no. Il messaggio? Le canzoni raccontano un po’ di me che non riuscito a raccontare con la musica soltanto. Nessun messaggio. Le canzoni con troppi messaggi si dimenticano di fare il lavoro di canzone, a volte sembrano essere dense di significato, a volte sono solo bugie raccontate bene''.

Ringraziando Sam Paglia per quest’incontro, formuliamo i nostri migliori auspicii per crescenti affermazioni professionali e lo attendiamo, con vivo interesse, alla prossima prova vocale. (Max Casali)