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10/04/2019   THE KALWEIT PROJECT
  ''L'amore, un porto sicuro in un mondo sempre più sconcertante...''

Ciao ragazzi, pochissimi giorni fa è uscito il vostro EP “Swiss Bikes”, un disco dedicato a due biciclette svizzere quindi. Ci volete dire di più su questo “omaggio"? ''Si ispira a due biciclette realmente esistite: una proveniente da Basilea, l'altra da Berna. Entrambe rinchiuse in un garage a prendere polvere per anni, sono state portate in Italia dall'allora fidanzato di Georgeanne, oggi suo marito. Viene così data una nuova vita a queste due biciclette che rappresentano, per la coppia, trasferitasi dal Nord Italia alla provincia di Lecce, uno sfogo a basso costo, un modo per fare qualcosa insieme: perdersi tra le stradine di campagna nel crepuscolo per lasciarsi trasportare in silenzio nell'oscurità che sopraggiungeva e riconnettersi alla natura riportando a galla sensazioni legate alla propria infanzia. Le due biciclette erano come due gemelle ritrovate, un po' come Georgeanne e il suo compagno: due persone simili che finalmente avevano incrociato la stessa strada pur venendo da due parti diverse dal mondo (Minneapolis, USA, lei e Lecce, Italia, lui). In seguito le biciclette - sempre parcheggiate in un cortile di casa nascosto - legate l’una all’altra, scompaiono: ancora una volta incatenate insieme in questo loro destino. Qualcuno, inspiegabilmente, le aveva rubate proprio il giorno prima del matrimonio di Georgeanne. Fu un colpo terribile perchè in qualche modo le biciclette rispecchiavano la coppia, ricordando quel salto nel vuoto che i due innamorati avevano affrontato nel lasciare tutto al nord e poi nel decidere di sposarsi: questo evento rappresentava in qualche modo una sorta di perdita dell'innocenza, era come se fosse giunto il momento di “diventare grandi”, compiendo il passo del matrimonio. Ed è così che il brano “Swiss Bikes” porta anche una riflessione sulle relazioni di coppia, su come sia necessario e salutare che vi sia un elemento di “gioco” per alimentare la curiosità per l'altro''.

Il primo singolo è proprio “Swiss Bikes”, di cui è uscito anche un video molto bello e surreale. Ce lo raccontate? ''I video maker Grazia Amelia Bellitta, Nello Rosato e Ambra Abbaticola hanno voluto cogliere il lato nascosto del brano in un video che manda in “play”, in un processo inarrestabile, l’immaginazione dello spettatore. Si rimodella ad ogni nuova visione e lascia spazio totale all’animo sognante. E’ un quesito aperto: alla fine, non si saprà mai se si tratta di un ricordo, di un flash back o di un’illusione. Ricco di simboli e metafore, tocca direttamente l’inconscio, in un mix di suoni ed immagini che vanno oltre l’idea convenzionale di un video musicale. Il principio è dare importanza a ciò che non si vede ma si “sente”, l’intento, quello di evocare atmosfere oniriche fatte di colori, adesso freddi e adesso caldi. Non è un caso che a girarlo siano 3 artisti impegnati in ricerche dove il visual prende piede. Una sfida quindi, dove video e musica non sono due elementi separati, ma diventano un tutt’uno, si uniscono e raccontano una storia emotiva ed estetica''.

Quali sono le tematiche principali del vostro disco? ''In breve: i social media, terrorismo, la coppia, l'incontro di due nazionalità, l'amore come antidoto alla indifferenza, la psicologia, la televisione, la dipendenza alle droghe e ai social media. Per il lungo: “Swiss Bikes” vuole essere uno specchio dei nostri tempi, concentrandosi in particolar modo su come i modelli di comunicazione stiano cambiando attraverso le nuove tecnologie e i social media: sempre più virtuali e sempre meno reali. L’EP vuole essere anche un omaggio al semplice - ormai arcaico - bisogno di amare e di essere amati, nonostante il diffuso cinismo d’oggi, specie del mondo occidentale in cui qualsiasi cosa (anche i sentimenti) è a portata di click. I temi principali sono molto attuali, appunto il social media (come in ''My Beast My Feast'') che racconta come sta trasformando le persone in protagoniste 'fai da te', delle volte in bestie, delle volte in persone solo molto bisognose di attenzione, che mostrano solo un lato di sé, molto selettivo, che può ingannare le apparenze, secondo le loro esigenze psicologiche. L'uso dei social media crea dipendenza, è come un pillola che uno si deve prendere ogni giorno per mantenere questo senso di appartenenza, o importanza, ma spesso crea delle persone molto sole che poi non sanno piu relazionarsi nel mondo 'faccia a faccia'. Un altro tema è il terrorismo (in ''Seriously Furious'') che provoca sgomento, frustrazione e indignazione di fronte alla imprevibilità di tanti atti a sorpresa, crudeli e anche incredibili; in questo caso, il testo si spira alla notizie dell'archeologo, custode da 40 anni del sito UNESCO di Palmyra in Siria che fu decapitato insieme alla distruzione del sito in sé. Ma, per la prima volta nei testi di Georgeanne, che spesso tratta temi socio-politici, c'è ampio spazio al concetto dell'amore come porto sicuro in un mondo sempre più sconcertante, e dell'impegno che c'è nel 'scegliere' di stare in un rapporto a due a lungo termine, con tutto il brutto, il bello e il cattivo che ne consegue. Alla fine c'è il realizzare che siamo sempre individui con il nostro bagaglio personale e culturale secondo l'origine, ma anche le conseguenze di come l'amore viene ritratto nei telefilm che abbiamo consumati fin da piccoli come modelli imposti. Siamo come isole vaganti (in ''Love American Style''), è un concetto che si è amplificato col trasferirsi di Georgeanne nel sud nell'Italia, in Salento, lei che viene dal nord del mondo, da Minneapolis, nel Minnesota, per trovarsi in una cultura molto diversa dalla sua, e da quella di Milano, piu metropolitana e globalizzata, che l'aveva 'formata' alla vita Italiana. Tutto cio' ha fatto sì che Georgeanne si sentisse paradossalmente più Americana che mai, e cosciente che il suo modo di amare sarà sempre è inevitabilmente in 'stile Americano' nonostante il cambio di territorio. Infine una tematica difficile da trattare è quella della dipendenza di droghe, che puo' portare alla depressione (''The Earth is Flat''), che forse sono 2 facce della stessa medaglia, e persino alla morte. Questo tema viene affrontato nel testo come un inno verso quelli che fanno fatica a stare al mondo, e che magari non ce l'hanno fatta, per sbaglio come overdose, o per troppi eccessi, troppa sensibiltà o dalla propria mano. È un invito alle cose semplici, che devono bastare quando si tratta di cercare di stare vicini alle persone che soffrono, che sono borderline, e lì per lì, nel tentativo di trattenerli in questo mondo, in modo che ritrovino la bellezza e la speranza per non cadere via dalla faccia della terra, come si suol dire come metafora''.

Georgeanne, tu sei americana ma vivi ormai da tanti anni nel nostro Paese. Ti senti più americana o ormai ti senti italiana? E la tua musica? ''Sì, sono venuta per la prima volta nel 1986 per studiare la Storia dell'Arte a Firenze attraverso un'università Americana, visto che mi stavo laureando in Belle Arti come pittrice, uno scambio che mi ha lasciato un segno dentro, un'infatuazione per l'Italia iniziato allora e che non smette di esistere anche oggi. Ho vissuto tanti anni a Milano in seguito, poi anche 5 a Los Angeles fra 1995-2000, ma l'Italia mi richiamava e sono tornata. Da 7 anni vivo in campagna, in provincia di Lecce, dal nord del mondo al sud. La questione e il concetto di 'appartenenza' mi incuriosisce molto, infatti ho scritto negli ultimi anni una serie di 70 narrative sulla mia esperienza negli ultimi 25 anni in Italia che tratta infine questa tematica, e non solo. Il 'malloppo' è stato appena revisionato a Los Angeles, spero di pubblicarlo quest'anno. Naturalmente portiamo il nostro bagaglio culturale, e l'imprinting della famiglia e dal ceto sociale con noi ovunque andiamo, e per questo mi sento ancora Americana, è nel mio DNA, come per mio marito, nato in Puglia ma vissuto tanti anni a Basilea, dall'eta di 13 anni, e ora tornato alle origini. Direi che siamo tutti e due una sorta di 'ibrido', legati alle radici ma persone molto aperte e incuriosite dal mondo. Paradossalmente quando vado in America non mi sento più così Americana, e quando sono in Italia è la gente intorno che delle volte rimarca che sembro 'diversa', magari come mentalità o nel mio approccio nel fare le cose. Inevitabilmente l'Italia mi ha formato in un certo senso, facendo di me una persona piu 'colta' a livello artistico grazie alla quantità d'arte che c'è nel Bel Paese, e ne vado fiera. Adoro la storia e non smetto di meravigliarmi della storia che l'Italia ha e che condivide col mondo, per non parlare dell'arte enogastronomica, del cinema, dello stile, del mondo intellettuale, di design, moda, e architettura ecc... tutte tematiche che tocco da anni come traduttrice professionista. In un certo senso, a furia di stare tutti questi anni in Italia, a viaggiare molto sia per la musica nei tour che per curiosità mia, ad osservare tutto, dalla politica ai cambiamenti grazie alla globalizzazione, sono diventata una grande 'conoscitrice' e 'stimatrice' del paese. Ma alla fine mi sento sempre Americana e non ho mai cercato di emulare né di diventare Italiana, è impossibile, ma solo di rispettare le differenze e di voler crescere di conseguenza. Sono stata felicemente 'contaminata' dal modo di vivere qui, questo sì, un modo che è molto umano - i riti intorno alla tavola, le piazze con persone di tutte l'età che si mescolano, le tradizioni dal nord al sud che sono tante e affascinanti. L'America ormai è diventata un grande 'luogo non luogo', con serie tv che comandano le mode e dettano le leggi del consumismo, ormai esportato come modello. L'Italia ancora preserva qualcosa dell'autentico, unico, che va tutelato, nonostante tutti i problemi legati alla burocrazia ed alla precaria situazione politica del momento, per non creare dei cloni che si accontentano di imitare questo 'modo' Americano così spinto durante gli anni del Berlusconismo, un modo che mette le persone in competizione l'uno contro l'altro. L'America sta anche attraversando un periodo molto difficile e buio grazie ad un 'leader' che non dovrebbe essere alla Casa Bianca, a mio avviso, una figura a cui è stato permesso di salire al potere in modo totalmente irresponsabile; in poche parole, un'impostore al comando. Non ci penso più a tornare a vivere lì anche per questo motivo, ma i miei testi e la nostra musica possono tornare lì, cosi la gente puo' avere un'altra prospettiva, da una persona che ancora ama e osserva il proprio paese da lontano con un'occhio attento e critico. La mia/nostra musica ha un'impronta Americana, per forza. Con la preziosa collaborazione di Giovanni Ferrario (Giovanni Ferrario Alliance, Mice Vice, Scisma) come artistic consultant, il sound rimane molto legato alle radici Americane nonostante lui sia Italiano: un chitarrista / musicista / produttore che ha viaggiato molto, creato molto, e ha anche suonato la chitarra in tour con PJ Harvey in America. Pure i musicisti del Kalweit Project sono dei grandi conoscitori della musica Americana, anche se i loro ascolti sono abbastanza differenti dal mio cantautorato Americano, per cui il salto non è stato così lungo né arduo''.

“Swiss Bikes” è totalmente autoprodotto. E’ una scelta artistica ben precisa? ''Io ho sempre fatto lavori autoprodotti dal periodo con Kalweit and the Spokes a Milano (2009-2014), con la differenza che con quel progetto c'era gia il 'produttore' incorporato con i miei collaboratori musicali dell'epoca. Per i Kalweit Project invece questa figura mancava e cosi ho approfitato per contattare Giovanni Ferrario come artistic director, persona che stimo tantissimo, per limare ed arricchire i brani. Tutti i 10 brani fatti insieme a lui (5 di questi compongono l'EP ''Swiss Bikes'') hanno le loro propria personalità grazie anche a questa libertà di espressione e sperimentazione, scoperta durante la pre-produziona fatta in Puglia tutti insieme con lui che era venuto giù, e poi a Milano, sempre con lui, per la registrazione definitiva col batterista Mauro Sansone, già nel progetto mio precedente. L'unica grande difficoltà rimane a volte quella economica, ma con la perseveranza e la pazienza si fa tutto, dalla A alla Z, con persone che sono dedicate all'attitudine indipendente, cosa che ci permette di rimanere autonomi nella produzione, però sempre con l'arte e la qualità al primo posto: dalla scelta di dove registrare, in un luogo in cui tutti si sentono stimolati e a loro agio (anche se lontano da casa, sui Navigli di Milano) alla produzione di un video (girato addiritura a casa e d'intorno, anche nella proprio vasca!), persino alla scelta della grafica dell'EP fisico con la stessa persona che ha curato il video, in questo caso con un'artista/videomaker d'arte contemporanea, Grazia Amelia Bellitta, insieme agli altri due videomaker Nello Rosato e Ambra Abbaticola. Per fortuna si scopre che siamo tutti nella stessa barca nel non voler scendere a compromessi per quanto riguarda la qualità, e c'è una solidarietà fra di noi che ci permette di tenere alta questa esigenza, che è molto preziosa e apprezzata''.

Nei primi anni 2000 sei stata la voce dei Delta V… che ricordo hai di quell’esperienza? ''È tutto successo in fretta, un tour de force, dalla registrazione del primo disco ''Monaco '74,'' all'ascesa in classifica del singolo ''Un'estate fa''. Io che venivo da 5 anni a Los Angeles a lavorare in un museo d'arte contemporaneo sia come allestitore delle mostre, come guardiano della collezione, o come direttrice dell'ufficio di una scuola d'arte per adulti ed anche come insegnante d'arte nelle scuole pubbliche. E' stato un po' surreale essere catapultata nel mondo 'mainstream' ed essere resa 'visibile' nei video clip, io che ero invisibile e non guardavo né possedevo neanche una TV all'epoca. Ho scoperto in poco tempo, però, di poter e di voler fare la cantante sul serio grazie a quella esperienza, anche se cantavo gia a Milano con un gruppo fisso di hardcore funk, i Mo Stipiti Funk, per vari anni all'inizio degli anni '90 prima di trasferirmi a Los Angeles dove avevo un gruppo anche lì. Con i Delta V ho lavorato esclusivamente come interprete per 4 anni, divertendomi anche nel realizzare i video ecc... ma sempre cantando in italiano brani scritti da loro. Un'esperienza unica, di crescità, senza dubbio, che mi ha permesso di farmi conoscere al pubblico italiano, anche se un po' più di massa in confronto all'esperienza fatta col gruppo precedente a Milano, con cui facevamo concerti maggiormente nei centri sociali in nord Italia. Ho registrato 2 dischi con i Delta V e ho viaggiato molto con loro in tour, cosa che mi ha permesso di continuare a studiare l'arte in un certo senso, una bella storia davvero. So che in quel periodo la musica fatta insieme a loro ha segnato una generazione, perché la gente me lo racconta sempre, anche a distanza di anni, e sono felice di aver avuto l'opportunità di far parte di un periodo che rimane con affetto nel cuore e nei pensieri della gente. Finito quel periodo però, ero libera di nuovo di creare e produrre brani miei con testi in inglese con Kalweit and the Spokes a Milano, cosa che ci stava, eccome. L'EP ''Swiss Bikes'' con il nuovo progetto The Kalweit Project a Lecce è il mio terzo sforzo artistico da quando smisi di collaborare con i Delta V nel 2004.

Avete appena presentato il nuovo disco in alcuni concerti, ne avete in programma altri? Cosa offrono i Kalweit Project dal vivo? ''Sì, abbiamo suonato al Soul Kitchen di Fermo a marzo, e di recente a 'Na Cosetta a Roma poi al Mr. Rolly's di Vitulazio (Caserta). Suoneremo ad un festival a Karadra', Associazione di Promozione Sociale a Cutrofiano (Provincia di Lecce) il 12 Maggio, che è tra l'altro dove abbiamo girato una parte del video del singolo ''Swiss Bikes' dall'EP dello stesso nome. Speriamo tanto di portare il nostro live ai festival quest'estate, e di sicuro un bel giro dei club in autunno. Il live fa vivere l'immaginario dei brani, che oscillano fra uno notturno scuro, fatto di riflessioni intimistiche e oniriche sul viaggio che rappresenta “il rapporto a due”, e un immaginario “diurno, impenitente, luminoso ed intenso come il sole dritto in faccia” con un sound rock alternativo/grunge/post punk che trasporta il pubblico con storie dipinte attraverso una musica a volte scarna, a volte a tutto gas, ed in altri momenti minimale, poetica e riflessiva, con storie di un mondo pieno di incoerenza, guerre, pregiudizi, fake news, dipendenze e insicurezze, ma anche del concetto di amore come porto sicuro per trovare l'equilibrio in mezzo tutto ciò, e come un'arma contro l'indifferenza''.