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14/07/2019   CLAUDIO MELCHIOR
  ''La vita e la musica sono troppo complicate per prenderle seriamente...''

Oggi incontriamo Claudio Melchior, artista a tutto tondo, con un passato costellato di poliedrici aspetti, che ci facciamo spiegare direttamente da lui, in occasione dell’uscita del nuovo album “Ho molti follower” uscito per la NewModelLabel.

Ciao Claudio. Dando un’occhiata al tuo background, sembra proprio che l’aspetto ludico non sia mai mancato nella tua sfera artistica. Ce ne parli? ''A me piace chiarmarla “leggerezza”. Che per me è un atteggiamento complessivo nei confronti della vita, ancora prima che verso la musica. Diciamo che la vita e la musica sono troppo complicate per prenderle seriamente. Poi, questo non significa giocare e basta. Si può essere molto seri, anzi secondo me ancora più seri, affrontando le cose col giusto grado di leggerezza''.

L’anima di “Ho molti follower” trasuda d’elettronica, supportata dalla batteria vera di Matteo Dainese de Il Cane. Le ragioni di queste scelte? ''Beh, Matteo è troppo bravo alla batteria per sostituirlo con una drum machine. Per quanto riguarda i synth vintage (non ci sono vst nel progetto) è stata una scelta produttiva che abbiamo preso per dare coerenza e soprattutto una precisa identità sonora all’album. Sono suoni retrò, ma hanno un posto ben preciso nella testa di tutti. E sono belli''.

L’album gioca sul fattore sorpresa, spaziando dalla saltellante title-track alle serrate trame di “Andiamo di qua”, fino allo spirito catchy di “Fake Simon Le Bon”. Il tutto sempre in assenza di chitarre: non ti sei mai pentito di averle escluse? ''Ah ah… No, per niente! Amo la chitarra, è il mio primo strumento e mi ha accompagnato nel mondo della musica. Ma ormai, quando provo a inserirla negli arrangiamenti, mi dà subito una sensazione di “vecchio”, cosa che i synth vintage, al contrario, non mi danno. D’altra parte, le chitarre sono associate al mondo e all’epopea del rock e, come è noto, il rock è morto''.

Il titolo che hai dato all’opera è chiaramente ironico. Quanto il web sta rovinando il mondo ed invece cosa c’è ancora di buono da salvare nella Rete? ''Effettivamente il protagonista di “Ho molti follower” appare piuttosto “scisso”, e questo suo ricondurre tutto al numero di follower, stampella della sua identità, non è una cosa molto sana: volevo proprio raccontarla questa realtà. Però io non ce l’ho con la Rete. Per me il mondo si rovina da solo, non ha bisogno del web per farlo. La Rete, pur con tutte le sue specificità, è solo un mezzo di comunicazione: contiene le cose che noi ci mettiamo dentro, niente di meno e niente di più. In alcune cose è un bene, la disponibilità di informazioni e il rimescolamento del potere ad esempio; in altre un male, soprattutto per quanto riguarda la cessione delle nostre informazioni personali, che sta diventando preoccupante. Ma è un discorso lunghissimo. Se volete ci scriviamo sopra un libro e lo pubblichiamo su MusicMap...''.

In passato, hai dato vita ad irriverenti programmi radio e destato clamore per alcune campagne pubblicitarie poco ortodosse. Ci racconti qualche aneddoto particolare e quanto sono state utili queste esperienze per la musica? ''Ce ne sono tanti. Nell’88 ero un pischello che trasmetteva da una radio piuttosto ascoltata. Eravamo nel circuito della nascente Radio Deejay che, all’epoca, cominciava a trasmettere in modo nazionale mandando in giro le cassettine con i programmi. Io facevo la fascia 14.00-18.00, e tra le cinque e le sei mettevo in onda la cassetta con Linus e Albertino dentro. Un giorno, assieme alla cassettina, ci mandarono (ovviamente promo) il cd di uno sconosciuto intitolato “Gimme five”. Quante risate ci siamo fatti ascoltando quella stronzata… Però intanto la mettevamo in onda e poi si sa come è andata a finire. Della serie, ride bene chi ride ultimo…''.

Dal tuo stile si evince che ti piace spesso mischiare le carte in tavola. In futuro, pensi di proseguire su questa linea sperimentando, però, nuove soluzioni? ''Sai che non ne ho la più pallida idea? Continuo a comporre, ma non mi pongo mai il problema di “seguire una linea”. Scrivo quello che le emozioni mi portano a scrivere. E produco come in quel momento mi sembra cool. Con l’album è stato così e spero che sarà così anche in futuro. Quindi dipendo dalle emozioni: quando avrò finito, scoprirò anch’io che cosa è uscito fuori e te lo farò sapere immediatamente''.

Quale o quali dei 7 brani dell’opera ti rappresentano di più e perché? ''Tutti i brani dell’album mi rappresentano, in realtà, anche se in modo diverso. “Andiamo di qua” è il racconto del mio senso della vita e di come mi fa incazzare il tempo che passa. “Al mare” parla dell’amore, l’unico amore vero che conosco ormai, quello per mio figlio. “Sì in fondo” invece è la mia piccolissima “My way”''.

Oggigiorno sei docente d’ateneo di comunicazione. Quest’ultima, come si potrebbe migliorare ai fini di un recupero qualitativo dell’interscambio sociale? Quanto credi nei testi come valore comunicativo? ''I testi delle canzoni hanno un valore forte. Quando il pezzo gira, lavorano a livello inconscio nella testa delle persone anche quando la gente non li ascolta con attenzione. E in questi anni questo valore è aumentato, non diminuito. L’hip hop, e oggi la trap, hanno ri-sdoganato i testi, li hanno rimessi al centro del progetto musicale. E hanno riabituato le persone ad ascoltare tante parole, a volte complesse e con messaggi non sempre banali. Più in generale, se parliamo della società o della comunicazione, non saprei come si possa migliorare o peggiorare. Ma va tanto male sul serio?...''.

Ringraziando Claudio Melchior per averci dato modo di conoscerlo meglio, gli formuliamo un grosso “In bocca al lupo!” per i progetti futuri, ovviamente con la spia ludica sempre accesa.