Sono presenti 1306 interviste.

23/07/2024
RAMO
''Come mai una lumaca dovrebbe avere un guscio a forma di gelato?...''

23/07/2024
ROBERTO GROSSI
''Una bella canzone è tale se lo è anche ascoltata solo con chitarra e voce...''

tutte le interviste


interviste

14/11/2019   LUIGI CINQUE
  ''Noi siamo vibrazione molecolare, tutto l'universo è materia vibrante...''

Lo spazio interviste di oggi è riservato a Luigi Cinque, componente negli anni ‘70 del Canzoniere del Lazio più infinite collaborazioni: Banco del Mutuo Soccorso (col quale registra “Canto di Primavera”), Alvin Curran, Nuova Consonanza, Gasparyan Gabriel e Michael Brooks, e molti altri. Insomma, un eclettico artista a 360 gradi, con un pregiatissimo e stimato background che, in occasione dell’imminente concerto del 28 novembre all’Auditorium a Roma e dell’uscita del nuovo album “Kunzertu 2020-A memory of future” ci racconta curiosità e segreti dei suoi innumerevoli progetti trascorsi e futuri.

Benvenuto Luigi. Prima di elencare il tuo fitto trascorso di artista a tutto tondo, so che c’è molta attesa per questo concerto a Roma con l’Hypertext O’rchestra in cui proponete un’esecuzione di musica transgenica: ci riveli qualche dettaglio? ''Transgenico, che poi è una definizione di Repubblica, per l’esattezza di Gino Castaldo a proposito del mio CD ''Passaggi'', vuol dire che l’Hypertext O’rchestra propone e si nutre, nella sua musica, della possibilità continua di attraversare i generi: dal cunto tradizionale all’hip hop, alla pizzica, dall’aleatorio di Cage al real time improvviso, al contemporary da Modern Art, al jazz più tradizionale, al blues, alla doina. Ma questo, sia chiaro, non in termini espositivi senza un’anima, da prontuario da venditori ambulanti, ma in una condizione raggiunta di postcontaminazione. Il futuro sarà un fiore che canta. Il 28 all’Auditorium di Roma l’Hypertext O’rchestra, che è formazione ad organico variabile, presenta “il jazz visto dalla luna”. In questo caso mi troverete nelle vesti di un Astolfo antico e contemporaneo a raccontare (e intravedere) dalla luna, per caso, che il jazz non è solo musica. E' piuttosto quel cromosoma improbabile, quel virus imprevisto, quel linguaggio diverso, generato nella cultura del Novecento, in un luogo preciso, dall’implosione di un mix di etnie, razze, visioni, energie. E come una malattia, come un’ombra inarrestabile, come un fantasma delle anime, in musica, e non solo, ha contagiato il mondo. Un concerto su testi di Alan Lomax, Amiri Baraka (Lo Roi Jones), Luigi Cinque, Cunti Mediterranei, Griot. Insomma, se siete curiosi di vedere cosa ci fanno una delle più importanti vocalist come Petra Magoni con la voce griot Badara Seck e il pianismo/oltre di Antonello Salis, con Alfio Antico, il re dei tamburi a cornice, un genio mondiale del contrabbasso come Adam Ben Ezra e un astro nascente della chitarra battente come Ale Santacaterina e la "ciaramela de deus", come mi definirono in una tournèe in Brasile, non vi rimane che presentarvi all'Auditorium Parco della Musica il 28 novembre al RomaJazzFest''.

Polistrumentista, compositore, scrittore, regista, operatore culturale, sperimentatore musicale: come fai a gestire tutto questo ventaglio di proposte? E a quale di queste dedichi più tempo e quali sono le differenze emozionali (se ce ne sono)? ''Io mi diverto a suonare il sax soprano e clarinetto ma anche a pensare in termini di “filosofia musicale”, ovvero di filosofia dell’ascolto. Insomma, faccio il musicista a tempo pieno e le altre mie attività ne sono un derivato, la componente essenziale di un centro che poi è una concezione del mondo. In altre parole: noi siamo vibrazione molecolare, tutto l’universo è materia vibrante. Più aumenta l’oscillazione più la materia si fa invisibile e dalla pietra diventa rumore/suono… poi, più veloce, diventa luce, colore, cinema direi, stelle fantasma, buchi neri. Insomma, per dire sono all’interno di una filosofia della luce. Diciamola ancora meglio, faccio fondamentalmente il musicista/compositore e dunque sono, come diceva Zappa, uno spostamolecole: faccio vibrare molecole e le sposto verso le orecchie della gente. Dentro questo paesaggio, diciamo così, fatto di essenze (sempre le stesse) pre e post-umane c’è anche la parola poetica e c’è il cinema ovviamente. Il mio cinema che è essenzialmente musicale. Non mi riconosco piuttosto nella definizione di operatore culturale, oltretutto non mi piace. Fa cattivo odore. Officina Mediterraneo (OFFMED) è un’etichetta indipendente e con questa sono e siamo diventati produttori delle mie e delle nostre cose: grandi eventi, cinema, concerti vari, festival. Senza appartenenze e cordate abbiamo pagato dei prezzi non indifferenti, anche in termini di esclusione dal mercato omologato, e gestito spesso da micromultinazionali della cultura, ma, in compenso, ci siamo concessi il massimo possibile di libertà. In quanto al mio cinema esso è propriamente cinema musicale agito e interpretato da musicisti. (vedi Transeuropa Hotel Trailer https://vimeo.com/85428302; The fabulous trickster Trailer www.youtube.com/watch?v=kBt0zNgeT6o).

Quando sei in fase compositiva, come contempli il tuo processo creativo? Cerchi più il guizzo ispirativo o ti affidi a stimolare il talento? ''Contrariamente a quanto si pensi normalmente, la creatività non è genio e sregolatezza. Non è flusso che gira nell’aria. Ti devi mettere sul sentiero giusto, allora accadono quelle che Joyce chiamava le epifanie. Spettri, fantasmi, voci da altri mondi, connessioni, colori, insomma tutto il teatro nascosto che ogni uomo possiede, e soprattutto incontri le cose giuste dal quotidiano, da una lettura, da una radio sentita per caso. La differenza tra un artista (compositore, scrittore, etc.) e una persona che si dedica ad altro, è proprio quel sentiero, quel cammino che poi è un derivato dell’ostinazione, del coraggio, della passione e della pazienza. Il genio è pazienza, diceva Goethe. E se anche scrivi in una notte un capolavoro come ''A Whiter Shade Of Pale'' devi sempre considerare da quanto tempo, per esempio, Gary Brooker e i Procol Harum stavano sul sentiero per smascherare quella ispirazione e poi limarla, aggiustarla, comporla insomma in una forma da grande canzone. E poi quelle parole ''E fu così che più tardi/ Non appena il mugnaio ebbe raccontato la sua storia/ Che il suo viso, dapprima appena spettrale/ Si tinse d’un’ombra di pallore più bianca''. Ma lo stesso si potrebbe dire di un sacco di canzoni meravigliose, da Dylan a De Andrè. Il discorso ovviamente vale per tutto. Come delle luci di Miles e Coltrane, e mille e mille altri milioni di brani della classica di tutti i tempi e culture. L’artista che cita Calvino nelle sue lezioni sulla leggerezza, improvvisamente con un gesto solo disegna sul muro il più bel granchio che sia mai stato disegnato. Lo fa in pochissimi minuti, ma sono anni che è ospite dal sultano per disegnare qualcosa, e lui è rimasto a oziare e gozzovigliare ma, attenzione, stava sul sentiero ed era sempre sveglio''.

Un’infinità d’incroci artistici: Nanni Balestrini, Antonio Infantino, Umberto Eco, Pina Bausch, Pier Paolo Pasolini, Patrizio Fariselli, Edoardo Sanguineti, Valerio Magrelli, Pippo Delbono, i Servillo, Michael Brooks, Peter Gabriel, Mauro Pagani, Banco e, non ultimo, Demetrio Stratos, con il quale hai insegnato al Conservatorio di Milano. Che ricordo hai di Demetrio? Inoltre, chi tra questi ti ha lasciato un’impronta maggiore? ''Molti di questi incontri li racconto, appunto, in ''Kunzertu 7718'', il libro uscito da non molto, che poi è una sorta di narrazione che si dipana attraverso incontri con uomini straordinari, da Ornette Coleman al premio Nobel Naipaul. Demetrio lo conoscevo da tempo essendo anche un grande fan degli AREA, poi abbiamo unificato i nostri Corsi di insegnamento al Conservatorio Verdi di Milano ed è stata per noi per primi una grande palestra di pensiero musicale: dall’arcaico preistorico al futuro più lontano. Ma certamente dei vari incontri mi viene oggi da dire Balestrini, dunque un poeta. Ho imparato da lui la tecnica poetica del cut up: quella, cioè, di mettere insieme frammenti già esistenti della realtà poetica e musicale per comporre altro di completamente rinnovato. Del resto la Terra Desolata di T.S.Eliot uno dei miei poeti preferiti, tra i grandissimi del 900, fu a suo tempo un’operazione di Cut Up supervisionata tra l’altro da Ezra Pound''.

Da “Lassa sta ‘la me’ creatura-Spiritu bonu” (insieme al Canzoniere del Lazio) sono passati 46 anni ed ora, dopo una ventina di album, arriva “Kunzertu 2020-A memory of future”, una summa riassuntiva della tua carriera, all’insegna di un’inesauribile ricerca musicale. Cosa contiene nel dettaglio: brani già noti ed inediti? ''Ho voluto farmi un regalo ed anche farlo a chi è interessato: mettere on line, tutti insieme, sotto il titolo “Kunzertu 2020-A memory of future”, alcuni dei brani più significativi della mia storia musicale ed anche (quello che è più interessante, se vogliamo) una bella serie di brani live o addirittura di mie registrazioni fatte sul campo. In primis un brano inedito proprio del Canzoniere del Lazio nella sua formazione storica (e non le imitazioni successive), nonostante la registrazione fatta da un mangiacassette collegato al Mixer del Festival Nazionale dell’Unità del 1976. Avevamo vent’anni. Un brano in cui si evince quale strada aveva fatto la nostra musica di origine mediterranea e contadina verso un rock zappiano nudo e crudo. Ascoltate per credere: https://luigicinque.bandcamp.com/releases. Ascoltate con attenzione i live e le registrazioni, ci sono soluzioni che potrebbero intrigare e suggerire futuro''.

L’album esce per accompagnare il libro “Kunzertu 77/18-Memorie di bordo” che racchiude, a sua volta, il saggio di etnomusicologia “Kunsertu”, volto alla riscoperta del folk italico. C’è più di un’intenzionalità in questo progetto? ''Raccontando in forma narrativa e intrattenitoria le mie storie musicali dalla fine dei settanta ad oggi, parlando come dicevo degli incontri con personaggi straordinari di India, Africa etc., e con la collaborazione di molti amici che hanno partecipato alla discussione, amici e compagni di viaggio come Valerio Magrelli, Patrizio Fariselli, Amiri Baraka, Pedrag Matvejevich, Petra Magoni ed altri, come l’etnomusicologo Maurizio Agamennone, voglio fare una meditazione sulla contemporaneità e sostenere soprattutto che il popolare, in quanto categoria della musica e della politica, non esiste più. E’ stato liquidato così come è stato liquidato il popolo. Ormai siamo tutti altro. Siamo homini consumantes, importanti solo e in quanto consumatori delle merci prodotte dalle multinazionali, della carne come dell’informazione. Semplificando, ovviamente''.

Sei, tra l’altro, direttore artistico dell’etichetta indipendente Officina Mediterraneo. Intravedi all’orizzonte nuovi e convinti sperimentatori? Ossia, artisti che non perseguano la frenesia dell’affermazione ma contemplino l’arte come massima espressione personale? ''I tempi sono molto difficili. La crisi è certamente economica, ma soprattutto è stata procurata, nella cultura, da gestioni dissennate della politica e, in molti casi, dalle nostre parti, davvero “mafiosa”. Hanno vinto le grandi Istituzioni, gestite fondamentalmente da manager estranei al dato culturale, incapaci di capire che la cultura è un fiore selvaggio che cresce laddove meno te lo aspetti, e devi saperlo riconoscere e far crescere. Non serve il profitto immediato. E’ successo invece che le nostre istituzioni tutte si siano trasformate da luoghi di produzione in acquirenti di agenzie dello spettacolo: si comprano prodotti preconfezionati e già vidimati da uffici stampa, televisione e “mainstream” procurato. Il mercato della musica è il pascolo di pochi. Il cinema non ne parliamo. Il popolo dello spettacolo è una razza in via di estinzione. Non sindacalizzata, pagata con ritardi inaccettabili, con precariato al massimo livello di tolleranza, carne di sperimentazione da neocapitalismo cannibale. Non sono tempi nei quali facilmente possano nascere all’orizzonte nuovi e ferventi sperimentatori. Paradossalmente i vecchi, avendo meno da perdere ed essendo più adusi ad un pensiero meno censurato da anni settanta, hanno ancora cartucce sperimentali inaspettate. Ma, attenzione, in tutto questo c’è un giocatore potentissimo, vaccinato e, a mio parere, irresistibile. Sono i millennial, i ventenni di oggi. Hanno armi genetiche adatte ad affrontare il futuro. Tecnologia, tecniche strumentali pazzesche, abbandono delle retoriche stupide compreso il “politically correct” (che è stata una forma di assistenza al neocapitalismo, rendendo tutti uguali ma disattivati come identità e ridotti a merci), sistemi di pensiero ormai al confine con il postumano, robotizzazione e coraggio. Ho molta fiducia in loro. Sono pazzeschi. Mi capita di avere alcuni di loro nella mia Hypertext O’rchestra e vi assicuro che hanno mentalmente un altro passo''.

All’epoca in cui militavi nel Canzoniere del Lazio, gli anni ’70 erano caratterizzati dal gran fermento giovanile con dei valori per cui lottare. Ora, si assiste alla banalizzazione del pensiero analitico, in cui tanti rinunciano alla propria identità per uniformarsi alla massa, nel timore di restare isolati. Come vedi tu la situazione? ''Torno a dire: la devastazione sociale del neocapitalismo e di una globalizzazione degli oggetti a fronte della tribalizzazione dei soggetti, ha portato un grande spiazzamento. In tutto questo il pensiero dominante, quello appunto corretto e rispettoso, ha molto lavorato per demolire le identità, quanto meno la nostra. Il resto lo fanno i media e i social. Il pensiero analitico è fuori mercato. Oggi siamo al limite oltre il quale si innesca nella specie il pensiero della pura sopravvivenza. Il pensiero filosofico aveva senso quando gli uomini sulla terra erano 2 miliardi e mezzo. Oggi che corriamo disperatamente e inutilmente ad essere 9 miliardi di idioti, il pensiero analitico e anche rivoluzionario non servirà più. Mi chiedo a cosa si stanno preparando gli uomini. Oggi mi è capitato di comprare, in via del Corso a Roma, nel grande negozio della NIKE, un paio di scarpe. Lo spazio, molto ampio, un tempo era delle Messaggerie Musicali, si andava lì a sentire novità discografiche, il rock, i maestri indiani, l’avanguardia, c’erano molti libri, si passavano lì le ore, e magari si usciva con un disco di Edgar Varese. Oggi era pieno di gente, fondamentalmente giovani, molti adolescenti, altri della stessa età di quelli di cui parlavo prima, che si muovevano agitati e curiosi per le ultime novità inverno 2020 delle iperscarpe. Mi sono chiesto, perché a tutto c’è un fine e una logica: a cosa si sta preparando la specie? Non potremo camminare su Marte con i mocassini di un tempo e neppure attraversare territori postatomici. Affrettiamoci, affettatevi a comprendere le leggi del postumano, del tempo insomma in cui questo cazzone dell’essere umano esce dal considerarsi al centro del sistema natura. Affrettiamoci a riflettere il pensiero degli animali e della natura che abbiamo così tanto devastato. Largo alla conoscenza quantistica della natura. Fuori dal Capitalismo che ha già cominciato a mangiare sé stesso verso la distruzione totale. Tiriamo fuori le unghie, giovanotti. Noi ci siamo ancora''.

Salutiamo ringraziando Luigi Cinque per la cordiale chiacchierata, col sincero auspicio di proseguire la sua ricerca scritturale, ridando lustro a quella sublime espressione chiamata Arte.