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18/02/2020   LORENZO DEL PERO
  ''Suonare e scrivere sono il linguaggio che ho scelto per esprimere le emozioni più buie e nascoste...''

L’incontro-intervista di oggi è con un artista eclettico ed inquieto: Lorenzo Del Pero, che ci racconta del nuovo album “Dell’amore animale, dell’amore dell’uomo, dell’amore di un Dio”, incentrato sulla ricerca di un Dio, tra sacro e profano, nel quale è presente, comunque, la speranza di una luce salvifica.

Ciao Lorenzo. Puoi descrivere ai nostri lettori le tue origini e cos’è che ti ha spinto a fare musica? ''Ho iniziato a suonare la chitarra all’età di 7 anni per “colpa" di un cugino. Sentendolo suonare, sono rimasto affascinato da quello strumento così misterioso e dall’interesse che suscitava nelle persone. Ovviamente, all’epoca, non immaginavo che sarebbe diventata fedele compagna di una vita. I dischi che avevamo in casa, hanno fatto il resto. Così sono cresciuto tra Dylan, Neil Young, Leonard Cohen, Edith Piaf, Simon & Garfunkel, Rolling Stones, Beatles. E De André, Guccini, Vecchioni''.

Sei di Pistoia ma, praticamente, hai girato l’Europa tra Londra e Berlino: quanto hanno influito per la tua arte il passaggio in queste capitali europee? ''Non saprei, onestamente. Ho sempre ascoltato musica inglese e americana. Passando dal folk cantautorale al blues, per poi scoprire il punk ed il rock. Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Black Sabbath, Stooges, David Bowie, Velvet Underground sono solo i primi ricordi del mio approccio alla musica rock. L’esplosione della scena di Seattle, nel 1990, mi ha investito trascinandomi in quella dimensione nichilista e di sonorità malate e catartiche allo stesso tempo. Nick Cave, Tom Waits e Jeff Buckley sono stati altrettanto fondamentali per definire la mia personalità artistica. Probabilmente ho seguito la strada che più mi avvicinava a queste sonorità. Per questo Londra e Berlino''.

Si evince dalla tua scrittura, dolente e sofferta, un’inquietudine mai doma; una sorta di croce e delizia, una molla perenne che ti spinge sempre a scrivere? ''Suonare e scrivere sono il linguaggio che ho scelto per esprimere le emozioni più buie e nascoste. La solitudine. L’incapacità di amare oltre il baratto. Ho provato a scrivere con maggiore leggerezza, ma non sono credibile. In realtà scrivo per lenire il dolore. Per descrivere emozioni troppo forti per essere contenute. Da qui, forse, si percepisce l’inquietudine che mi accompagna da sempre''.

Dopo un passato complicato e sofferto, ti sei dedicato anima e corpo al nuovo album che fa ricorso, imprescindibilmente, all’amore: cosa rappresentano per te queste 13 canzoni? ''Rappresentano la sintesi di un percorso di “redenzione” e pacificazione. La fotografia di un periodo che ho imparato ad amare e a guardare con tenerezza''.

Nel percorso dell’opera, “Il sentiero” è la traccia che si affaccia con 4 reprise. Si deduce che gli hai attribuito un significato particolare e rilevante? ''In realtà non ha più importanza delle altre canzoni. È quella che si presta meglio, come struttura, a svolgere il ruolo di traghettatore lungo il flusso dell'intero disco. Se fossimo negli anni '70, probabilmente, sarebbe definibile come un concept album. Il sentiero, non a caso, è la via che, simbolicamente, rappresenta il viaggio nell’esplorazione degli angoli più remoti del vivere. Una certezza alla quale aggrapparsi. Un approdo salvifico''.

Nel singolo “Verrà la pioggia”, scarichi un’efferata invettiva contro il Potere prevaricante di coloro che abusano dei deboli, incapaci di ribellarsi allo status quo. Ce ne parli più dettagliatamente? ''È uno sfogo contro la strumentalizzazione sistemica delle diseguaglianze, contro i privilegi di casta, contro ogni forma di discriminazione. Un tentativo di descrivere le contraddizioni e le ipocrisie che regnano in questo periodo storico. La disumanizzazione dell’umanità''.

Si dice che: non possiamo scegliere quando morire, ma quando cominciare a vivere sì. Credi in questo adagio o preferisci stare sempre borderline? ''Credo che la vita vada celebrata. Le mie canzoni hanno sempre dei toni scuri, ma lasciano intravedere uno spiraglio di luce che penetra dalle ferite della notte, aspettando un'alba che si rinnova ogni giorno''.

”Preghiera blasfema” la dice tutta sulla mancanza d’intercessione di un presunto Dio, dentro un esasperato solipsismo che ha tolto ogni speranza di collettività. Tu hai un tuo personale Dio? In chiusura: che speranza aneli in te e per l’umanità? ''L'intero disco è intriso di spiritualità non dogmatica. Il concetto di un Dio creatore dell’universo è troppo lontano e complesso per me. Non rientra tra le mie priorità, la ricerca di un Dio. Ho ricevuto un’educazione cattolica e sono profondamente affascinato da figure come quelle di Gesù Cristo e San Francesco in quanto uomini. L'oggetto del mio reale interesse è sempre l'uomo con le sue fragilità e debolezze. Con la sua capacità di rigenerarsi nonostante tutto. Uso la religione come allegoria per descrivere l'uomo. Come metafora per poter credere, io stesso, che la tolleranza e la comprensione siano valori universali indipendentemente da quale sia la confessione, l’orientamento politico, la cultura, il colore della pelle, il sesso. Basterebbe guardare la diversità con stupore e non con sospetto''.

Salutando e ringraziando Lorenzo Del Pero, formuliamo i migliori auspicii per un’ulteriore evoluzione artistica e personale. ''Grazie a voi. Di cuore''.