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19/05/2008   FABRIZIO EMIGLI
  'Scrivo schizzi indecifrabili, poi la musica ci si attacca da sola...'

Eccovi l'intervista a Fabrizio Emigli, finalista di Musicultura 2008, interprete, autore e compositore romano attivo sulla scena musicale italiana da molti anni. Ha suonato al Folkstudio di cui è stato direttore artistico dello Spazio Giovani. Il suo eclettismo l’ha portato anche a comporre i testi in italiano per numerosi film: “La fabbrica di cioccolato”, “La sposa cadavere”, “Before Sunset - Prima del tramonto”. Ha fondato una rivista letteraria (“Mentelocale”) ed associazioni culturali (“Sopra c’è gente”), ha scritto e condotto programmi radiofonici per emittenti private locali, ha interpretato jingles televisivi e radiofonici per Rai e Mediaset. E’ stato ospite nei concerti di colleghi illustri, da Edoardo De Angelis e Mimmo Locasciulli a Claudio Baglioni. Fabrizio, che significa per un artista essere uno dei finalisti di un premio così prestigioso come Musicultura? "Durante la prima fase live e in quella polimediale, ho avuto la netta sensazione che a Musicultura si lasci veramente spazio alle canzoni, agli autori, ai musicisti e agli interpreti. Sembra banale e scontato sottolinearlo ma mi è capitato spesso di essere catapultato in manifestazioni canore, musicali e di sentirmi scollato, scollegato e fuori luogo. Da lontano ho seguito la crescita di interesse intorno al Premio (ex Recanati) nei tanti anni di vita ed ora ho la certezza che è il posto ideale, la cornice più giusta per poter raccontare le proprie storie". Come si svolge il tuo lavoro di composizione, preferisci partire dai testi o dalla musica? "Ho blocchetti di appunti sparsi in vari cassetti, con frasi riportate disordinatamente, con sensazioni, titoli di potenziali canzoni, a volte schizzi indecifrabili... di solito è da questo groviglio che nascono i primi abbozzi di canzone. La musica, di solito, ci si attacca da sola, arriva come un’onda inaspettata, insieme alla netta sensazione che sia questa e nessun’altra la vestizione più giusta per poter raccontare al meglio la storia". Cosa ti piace ascoltare, che tipo di ascoltatore sei? "Sono sempre stato un ascoltatore curioso e disordinato. Preferisco, chiaramente, la sintesi magica che c’è nella forma/canzone. Mi appare sempre come un miracolo la miscela perfetta di musica, parole, significato, arrangiamento, interpretazione ed emozione che può nascondersi dietro quei pochissimi minuti (mi viene in mente 'Azzurro', 'Pezzi di Vetro', 'Imagine'... ma ne citerei altre migliaia almeno). Sui miei scaffali, però, gli artisti di cui non ho perso un solco, una traccia, una frase sono gli immancabili Gaber, De Andrè, De Gregori e Fossati, Brad Mehldau e Rufus Wainwright (oggi il più grande di tutti, secondo me), e per tenere in forma il muscolo cardiaco e la testa Elvis Costello in tutte le sue forme". Nei tuoi progetti spesso lavorano molti musicisti con caratteristiche diverse, è una cosa voluta? "Oltre ad avere avuto e ad avere ancora con quasi tutti loro un rapporto di amicizia, sperimentato sulle tavole polverose o tirate a lucido dei tanti palchi calcati insieme, mi piace stare ad osservare quali reazioni chimiche possano verificarsi mettendo insieme le diverse culture musicali, i diversi modi di far musica, e nel mettersi a disposizione verso un aspetto della musica da molti, erroneamente secondo me, ritenuta poco nobile che è appunto la “canzonetta”". I cantautori emergenti spesso sono costretti a subire paragoni con i loro colleghi più noti, tu come ti poni di fronte a questa cosa? "Il pubblico ha sempre avuto bisogno di fare paragoni e confronti, credo che tranquillizzi, metta l’anima in pace. Son convinto che, specialmente le giovani leve, debbano fregarsene dei confronti e innanzitutto non avere la tentazione di emulare o copiare i colleghi più noti. Normale all’inizio avere riferimenti. Solo la curiosità e l’ascolto di moltissime cose diverse fra loro possa aiutarli a non diventare la brutta copia di uno solo (purtroppo è un momento in cui pullulano le cover band e i locali ne fanno una insana richiesta, secondo me). Ci vuole più coraggio e collaborazione". Che differenza c'è fra il tuo nuovo cd 'Stelle in Eccedenza' rispetto al precedente 'Dentro un nuovo disordine'? "Il cd precedente arrivò dopo alcuni decenni di attività, raccoglieva canzoni che composi a 15, 16 anni, quando sognavo di fare la popstar, ed altre composte intorno ai trent’anni. Subirono decine e decine di diversi arrangiamenti nel tempo. Addirittura più di un arrangiatore ha contribuito, con cura estrema, a dare un’adeguata connotazione ai brani. Cito Andrea e Paolo Amati, Toto Torquati, Ezio Zaccagnini che ne fu il produttore artistico. Sono molto affezionato a “Dentro un nuovo disordine”, ed ho un magnifico ricordo dell’eccellente lavoro di squadra, di una squadra eterogenea. Ernesto Bassignano, noto giornalista, definì “internazionale” il sound che riuscimmo ad ottenere. Il mio secondo lavoro è, nel bene e nel male, la vera istantanea del periodo che sto vivendo. In questo momento avevo voglia di quei precisi sapori e colori, che gli strumenti presenti nel cd e le parole scandite suonassero esattamente in questo modo. Mi sembra che 'Stelle in Eccedenza' sia il mio lavoro “d’autore”, probabilmente meno immediato del precedente ma, alla lunga, credo possa entrare a fondo nel cuore e nella testa degli ascoltatori. Anche la sua veste grafica e la qualità del packaging fa parte integrante del contenuto, importante quanto i testi e i musicisti che ci hanno suonato. E’ stato un tentativo di coinvolgere anche altri sensi; la scelta della carta utilizzata per il libretto interno e per il contenitore per un primo approccio tattile o quella dell’immagine di copertina e dei disegni all’interno, realizzati da Marianna Fulvi, sensibile e giovane disegnatrice". La musica vive una profonda crisi, pensi si possa fare qualcosa per risollevarne le sorti? "Non è solo un problema italiano. Credo si debba ripartire dai concerti dal vivo e dalla collaborazione fra gli artisti. E da un atteggiamento radicale. Dario Salvatori, raccontando giorni fa del buon vecchio “Folkstudio”, sottolineava il fatto, secondo me sacrosanto, che nel periodo d’oro della musica d’autore gli artisti erano selettivi e rigorosi, facevano delle scelte impopolari e assolute. Oggi, ancora sua riflessione ma che condivido in pieno, il sogno di un giovane musicista è quello di essere presente ovunque, sul palco del Festivalbar e nei centri sociali, sui giornali di gossip e in una pagina di Micromega, al raduno del Primo Maggio e nel salotto buono della domenica televisiva. Per dirla con una provocazione che potrebbe suonare autolesionistica, credo che bisognerebbe non cercare il consenso assoluto e di essere da tutti capiti e recepiti. In poche parole tornare o provare ad essere se stessi". Che progetti ha Fabrizio Emigli per il futuro? "Suonare allo Sferisterio di Macerata, ed essere uno degli “otto” a Musicultura (più che un progetto, una speranza...). Promuovere ancora “Stelle in Eccedenza”, unendo le forze di autoproduzione al lavoro prezioso dell'etichetta APbeat che ha creduto nel progetto, e presentarlo ancora dal vivo con gli stessi musicisti che lo hanno arrangiato e suonato... E magari, alla fine, trovarsi fra le mani una manciata di nuove canzoni per continuare il viaggio...".