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31/10/2024
14/12/2008 MASSIMO VOLUME
'Resta il fatto che mi piacerebbe saper cantare...'
Okay: entrare con l’accredito da giornalista coi "controc...i" è già una soddisfazione che non riesco a descrivere. Se poi aggiungete che era la prima volta, capirete il motivo dell’estasi. Ad essere sinceri, chi scrive è quanto di più distante dal genere di musica che fanno i Massimo Volume, gli ospiti della serata a Magazzeno bis, il talkshow-concerto radiofonico della Trovarobato registrato dal vivo al Locomotiv Club di Bologna. Ogni volta che mi misuro con la scena indipendente italiana scopro immancabilmente di essere ancora il ragazzino di provincia tutto sala giochi e juke box con le canzoni dell’estate. Chiedetemi qualcosa che abbia a che fare col pop mieloso intimista e non troverete fondo al pozzo del mio sapere: ma la scena indipendente, alternativa, underground, chiamatela come vi pare – italiana, europea, mondiale – mi vede malinconico e superficiale come una pozzanghera estiva. Poetico? Non saprei. Mi faccio trascinare dallo stile declamatorio di questo gruppo che ha fatto di un suo limite, l’incertezza a misurarsi con la consueta struttura della canzone strofa – ritornello, un punto di forza. Michele Orvieti, in compagnia di una presentatrice di cui mi sfugge il nome ma non l’avvenenza (e qui – come si dice a Bologna – faccio due grezze in una), intervistano per un’ora i Massimo Volume, composti da: Emidio Clementi voce e basso, Egle Sommacal e il recente acquisto Stefano Pilia alle chitarre, più Vittoria Burattini alla batteria; l’occasione è quella della loro reunion dopo lo scioglimento del 2002. Le domande coinvolgono soprattutto “Mimì” Clementi e solo in un secondo momento si affaccerà anche Egle al salottino improvvisato (“sempre a rischio commedia slapstick”, scherza Orvieti) del talkshow, in cui si avvicendano momenti musicali e discussioni tra cantanti, giornalisti e pubblico. Emidio, il tuo rapporto con la provincia. Che influenza ha avuto nella tua vita, nella vita artistica? "Sostanziale. Io sono di San Benedetto del Tronto, provincia di Ascoli Piceno. Crescere, vivere in realtà minori, con i tempi lunghi di queste realtà, i tempi morti, aiuta e credo induca un ragazzino a rifugiarsi nella sua camera per dedicarsi ad attività che forse, nel fermento della vita cittadina, trascurerebbe: tra le altre, lettura, scrittura e poi musica. Tanta musica". E poi, Bologna. "Sul finire degli anni ’80 mi trasferisco qui e trovo un ambiente in cui diventa facile condividere le passioni maturate da ragazzo: nei primi anni ’90 provavamo in cantina con un’attrezzatura infame, due vecchi amplificatori, così per poter sentire il suono dicevamo: “Massimo volume. Alza al massimo volume”. I ’90 sono stati anni fondamentali nel panorama del rock alternativo italiano, e i Massimo Volume li hanno vissuti da protagonisti. "Certo, anche se noi sul momento non ce ne rendevamo conto. Ci sembrava di fare musica, semplicemente. Soltanto più tardi, col passare del tempo, abbiamo capito di essere stati centro e periferia di questa rivoluzione sotterranea". Che influenza hanno avuto i Cccp di Ferretti sulla vostra produzione? "Come per molti altri gruppi, un’influenza decisiva. Diciamo che la nostra musica, quella dei Massimo Volume, riguarda più la persona che non la politica o il sociale. L’aggettivo che mi viene in mente è “intimista”, anche se non sopporto la parola e mi sembra che nemmeno calzi bene come definizione della nostra produzione musicale". Tre album: “Lungo i bordi”, “Da qui” e “Club Privé”, tre produttori diversi. "Con Fausto Rossi (Faust’O) c’è stata più d’una incomprensione. Personalmente non ho un buon ricordo di quel periodo. Steve Piccolo ha portato in studio un po’ di cazzeggio e ci siamo sentiti più liberi di creare senza l’assillo di dover concludere i pezzi come da copione. L’unico problema con Manuel Agnelli è stato forse quello di aver collaborato con un amico: quando si va in studio è meglio che ci sia un po’ di distacco – emotivo - tra chi lavora". Emidio, il tuo rapporto con l’enfasi. Mi sembra che sia centrale se parliamo dello stile declamatorio che vi contraddistingue. "Sono tempi, questi, che non amano la retorica. Eppure anche questa è un’arte e credo che, nelle giuste dosi, non faccia poi così male. La declamazione nasce come un limite oggettivo, non sapendo io cantare. Abbiamo scoperto col tempo che eravamo invidiati per questa caratteristica, perché ci potevamo permettere di rompere lo schema classico strofa – ritornello. Resta il fatto che mi piacerebbe saper cantare". La proposta di musicare il film muto “Fall of the House of Usher” di John Epstein e l’invito al Traffic Festival di Torino vi hanno portati a questo comeback. La domanda allora sorge spontanea, e non capisco perché nessuno l’abbia ancora fatta. A quando un nuovo disco dei Massimo Volume? "I tempi saranno lunghi, non c’è ancora un contratto discografico. Ma il tour ci dà nuovi spunti e un po’ di coraggio. L’arrivo di Stefano (Pilia, ex 3/4 Had Been Eliminated), che compone e arrangia da dio, è un ulteriore ventata di freschezza. Sono fiducioso: l’album si farà e sarà ottimo. Richiederà del tempo, però". (Vittorio Tovoli)