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04/06/2020   I-SCIENCE
  ''La musica è un linguaggio universale, che riunisce con facilità...''

I-Science è un gruppo fusion residente in Senegal, ma che rappresenta diversi paesi: Senegal, Italia, Egitto, Gabon, Togo, Spagna, Francia. E’ imminente l’uscita del secondo album, anticipato dal singolo “Fadjar”. Approfittando di questa release, porgiamo alcune domande alla band per saperne di più.

Benvenuti su MusicMap. Come siete riusciti a formare una band multi-etnica? Da quanto tempo siete in attività? ''Grazie! Siamo in attività dal lontano 2008 (disse la cantante, perdendo un dente). Vivendo in Senegal il fattore multietnico è stato una cosa naturale, grazie al fatto che Dakar è una città cosmopolita con gente che viene da tanti paesi d’Africa, Europa e Asia. Poi si sa, la musica è un linguaggio universale che riunisce con facilità. Un bel giorno, ci siamo trovati con degli amici e ci siam detti: e se formassimo una band ? E così siam partiti all’avventura! (fa molto Blues Brothers no?)''.

Si può già ascoltare in rete Il singolo “Fadjar”. Qual è il nucleo tematico del brano e cosa significa il nome del titolo? ''Il titolo significa 'aurora' in Wolof (una delle lingue principali del Senegal). Il tema è un messaggio di speranza e resilienza. Parla del sole dopo la pioggia: quel momento in cui, superate le difficoltà, ci si rende conto retrospettivamente dell’insegnamento che quelle difficoltà celavano. A volte, quando si è impantanati in un problema, ci riesce difficile vedere quello che di positivo ci può essere in esso, ma spesso le difficoltà ci spingono verso il cambiamento e la crescita personale. Riuscire a capire la lezione nascosta è un regalo che porta all’evoluzione e a coltivare l’armonia in sé''.

“Fadjar” è stato concepito in fase di lockdown, in voi c’era l’intenzione di lanciare un messaggio di speranza in più? ''Assolutamente sì! In realtà questo brano non era destinato a diventare un singolo, ma con gli avvenimenti legati al Covid ci siam detti che, sia per il genere planante, sia per il messaggio, sarebbe stato bello condividerlo con più persone, con la voglia di portare speranza nei cuori della gente. Avevamo l’impressione, poi, che questo gran casino porterà dei grandi cambiamenti, che speriamo essere positivi, quindi tocca esattamente il tema del brano. Sì, lo so, siamo degli idealisti melensi ma, come direbbe Jessica Rabbit, ci hanno disegnato così!''.

Il singolo anticipa l’uscita dell’imminente album “Ndeye san”: ci anticipate qualcosa? Quali sono le tematiche a cui tenete di più? ''Questo secondo album (il primo, eponimo, era uscito nel 2013) di dieci brani è molto centrato sul viaggio nel subconscio, la crescita personale e la ricerca di risposte all’interno di sé. Musicalmente è un album abbastanza eclettico con un mix di brani plananti, come ''Fadjar'', e altri molto più ritmici e danzanti. In linea generale ci sono svariati brani evolutivi, che cambiano a mano a mano che la musica va avanti e si racconta (tenete conto che sono una fan assoluta di Demetrio Stratos e degli Area). Tematicamente è un album molto intimista, che racconta la storia del viaggio umano che abbiamo fatto per comporlo. Ci abbiamo messo quasi quattro anni e di mezzo, ci sono state separazioni, rimesse in questione, lavoro su di sé, lacrime e risate. Ecco tutto ciò che abbiamo voluto condividere musicalmente con quelli che ci ascoltano, assieme alle cose che abbiamo imparato lungo il cammino. Strada facendo siamo anche diventati dei pirati alla conquista del mondo reale e onirico! Insomma, tante scoperte…''.

Voi mescolate new-soul, afro-beat, jazz, rock e ritmi tradizionali come il Sabar. Come siete riusciti a formulare questo amalgama particolare? ''Componendo assieme. Ognuno ha dato del suo e ha condiviso le sue passioni e conoscenze musicali. C’è anche da dire che il Senegal è un paese ricco d’ispirazione e di ritmiche allucinanti, quindi avevamo la fortuna di avere molto materiale proprio qua, davanti a noi. Abbiamo fatto del nostro meglio per sfruttarlo e fare le cose con amore e un pizzico di follia. Speriamo che il risultato possa toccare il cuore delle persone''.

Vi definite “pirati che condividono un viaggio con il pubblico”, per tentare di “depredare” il tesoro più grande e profondo attraverso il sogno: il bambino che è in noi. Perché? ''Perché tante persone non osano essere sé stesse. Hanno paura di quello che penseranno gli altri, di sembrare ridicole o di essere giudicate. I bambini invece hanno la spontaneità di chi vive realmente il suo essere. Crescendo ce ne dimentichiamo, ma in realtà ciascuno di noi ha ancora in sé quel bambino creativo assetato di libertà. Siamo convinti che per essere felici - e il nostro sogno è spingere il maggior numero possibile di persone ad essere libere e felici – è importante liberare questa parte di noi ed avere il coraggio di essere pienamente sé stessi e di accogliere ogni sfaccettatura di sé, senza giudizi negativi e senza paura. Vogliamo vedere le persone osare la loro follia creativa e liberatoria. Vogliamo che ognuno ami la sua unicità e veda la bellezza e la complementarità di ogni differenza''.

Perché avete stabilito il punto d’incontro in Senegal? Stabilito a maggioranza o perché si respira una migliore atmosfera artistica? ''Vivevamo già tutti qua. Non so se si può parlare di atmosfera artistica ma, visto l’andazzo generale in Europa, qui di sicuro si respira una migliore atmosfera. Qui c’è quella specie di ebollizione del cambiamento futuro, di nuovi modi di fare le cose, di vedere e costruire il mondo. Qui si ha l’impressione che un altro mondo è possibile e che, lavorando assieme lo si possa costruire, cambiando i paradigmi esistenti. C’è ancora tanto da fare ma c’è anche la voglia e il fervore''.

Quante difficoltà si incontrano a tenere in vita una band multi-etnica? Ad emergenza finita, è prevista la ripresa dei live? ''Beh, direi che si incontrano le stesse difficoltà che si incontrano a tenere in vita una band in generale (ad esempio farsi pagare dai promotori, non perdere il materiale, non far prendere fuoco agli amplificatori, arrivare in orario alle prove, mangiare decentemente durante gli spostamenti, riuscire a dormire, non diventare pazzi, etc.). Poi il fattore multietnico direi che facilita le cose, perché a livello creativo siamo raramente a corto di idee, gli scambi sono di sicuro più ricchi, le risate più grasse e a volte facciamo gare di cucina internazionali. L’unico vero rischio è di diventare grassi e pieni di brufoli a forza di mangiare piatti diversi. Ma come un terreno coltivato con varie piante si arricchisce di azoto e produce di più, così gli esseri umani che mescolano varie culture si arricchiscono di conoscenze e anch’essi producono di più e con tanto buon umore. Siamo dei pirati che praticano la perma-cultura umanistica, i nostri frutti son buoni e succosi, venite ad assaggiarli!''.

Con il sincero auspicio di ritrovarci con gli I-Science con le stelle negli occhi (come amano professare), li ringraziamo per l’incontro e li attendiamo, con piacere, alla prossima prova discografica. (Max Casali)