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29/07/2020   EAR
  ''Questo grappolo di canzoni, che abbiamo scritto, rimaneggiato e ritoccato fino all’esasperazione...''

"Exousia" esce a distanza di un decennio dal precedente album, "Asfodeli Da Conservare": cosa vi ha spinto a pubblicare un nuovo disco dopo così tanto tempo? ''La spinta è venuta dalla passione comune che io e Andrea nutriamo nei confronti della Musica. Tuttavia, a dirla tutta, è anche la Musica a nutrire noi: in effetti si dice che è “cibo per l’anima”, no? EXOUSIA rappresenta - in primis - proprio questo: un’intima necessità a cui non si può non dare ascolto. In effetti, sebbene in tutt’altro contesto, il significato stesso della parola ci racconta di “qualcosa che s’impone da sé”. Dieci anni sono un periodo lunghissimo in cui le vicissitudini individuali cambiano le esistenze. Così è accaduto per me e Andrea: e questo grappolo di canzoni che abbiamo scritto, rimaneggiato e ritoccato fino all’esasperazione, sono la testimonianza proprio di quel percorso personale che ognuno di noi ha fatto in questo ampio lasso di tempo. E, aggiungo, sanciscono quel rapporto intimo che entrambi abbiamo con la Musica''.

Cosa è cambiato in 10 anni negli EAR, e cosa è cambiato invece nel mondo della musica, in Italia e non solo? ''Prima degli EAR, come raccontavo un attimo fa, i primi ad essere cambiati siamo noi, io e Andrea. Le responsabilità a cui la vita piano piano ci ha chiamati hanno determinato una progressiva maturazione individuale: l’entusiasmo e i sogni che avevamo a vent’anni non sono svaniti, direi piuttosto che si sono raffinati. Nella Musica, in particolare, abbiamo imparato ad individuare quello che ci corrispondeva maggiormente e a perseguirlo. Siamo riusciti a “dare un nome” a urgenze interiori, talvolta anche sovvertendo schemi noti e fino a lì condivisi. Abbiamo indirizzato il nostro sguardo verso ciò che ci sussurrava dentro, piuttosto che farci distrarre dal grande baccano che veniva da fuori. E qui arrivo alla seconda domanda: in Italia, se ci riferiamo all’ultimo decennio, abbiamo assistito - per semplificare - a due grandi movimenti: il primo riguarda la “Musica indipendente” che è stata capace - certamente aiutata dalla tecnologia - ad alzare il capo e a farsi notare, guadagnando quel meritato rispetto che per troppo tempo le è stato negato. Il secondo movimento invece, che ritengo maggiormente legato alla Musica come industria “money-making”, si è adeguato anch’esso ai tempi nell’utilizzo della tecnologia, producendo tuttavia materiale che mi piace definire “usa-e-getta”. Canzoni e progetti musicali concepiti per durare il tempo di “un singolo”. Arrangiamenti e produzioni fantasmagoriche che - una volta ottenuto l’incasso - difficilmente metteranno radici nel cuore dell’ascoltatore. Il discorso è in ogni caso molto complesso e offre spunti per riflessioni più approfondite''.

In che modo questi cambiamenti si riflettono nel mood e nei brani di questo album? ''Direi in modo importante: lo spirito con cui abbiamo concepito EXOUSIA è - con evidenza - contro ogni logica dell’attuale industria discografica. Il fatto stesso che abbiamo impiegato dieci anni per realizzarlo testimonia che non si tratta di un disco dal quale voler ricavare un guadagno. Abbiamo sposato la filosofia dello “slow listening”, termine coniato dal giornalista Michaelangelo Matos: anche nella Musica, così come nel cibo e nella vita (pensiamo allo “Slow Food” o allo “Slow Living”), si tratta di “scalare la marcia” e ritrovare il senso e il valore di ciò che abbiamo fra le mani: il disco e il CD, il giradischi e il lettore, un impianto audio, un proprio luogo dove fermarci e poter ascoltare. EXOUSIA è la ricerca di tutto questo: una ricerca spontanea, appunto una necessità. I brani richiedono tempo per essere assimilati e gustati; chi si accontenta di un ascolto veloce non avrà alcuna empatia con il disco. Ad ulteriore conferma di questo, ci tengo a far notare la cura che abbiamo rivolto anche alla confezione, che nella versione analogica offre due tracce in più: si tratta di un prodotto da collezione, solo 200 pezzi numerati, in un cartonato fuori-standard. I disegni sono stati realizzati da Massimiliano Marianni, un amico e artista locale, che ha stampato ogni singola copia con la tecnica della serigrafia''.

Rispetto al precedente "Asfodeli da conservare" fanno il loro ingresso in maniera importante sonorità elettroniche e minimali. Come mai e in che modo un duo acustico come il vostro vi si è avvicinato? ''La parte elettronica del disco è stata realizzata con la complicità artistica di Franco Naddei, che si è occupato oltretutto dell’intero mixing del disco. A dir la verità io e Andrea da sempre, oserei dire già ai tempi di Asfodeli, siamo affascinati dal mondo dell’elettronica. E dico questo proprio in relazione alla nostra Musica, ovvero ad un progetto che nasce essenzialmente acustico. Artisti come Bon Iver o Jamie Woon, solo per citare i primi due che mi vengono in mente, facevano da colonna sonora alle nostre esistenze ben prima di Asfodeli (2008). Con Naddei, e quindi nel progetto EXOUSIA, abbiamo avuto l’opportunità di metterci alla prova proprio su questo versante e il risultato ci ha soddisfatti in pieno. Non vi nascondo - senza sbilanciarmi - che a inizio 2021 abbiamo già programmato insieme alla PMS Studio, la nostra preziosa etichetta, l’uscita di una “sperimentazione musicale”, la chiamerei così, che in un qualche modo lascia intravedere una possibile nuova direzione artistica degli EAR…''.

Le due cover inserite nella versione "analogica" del disco danno un'idea dei vostri riferimenti musicali, anche se si tratta di brani e band poco noti ai più. Come avete scelto questi due brani? ''“Bloodstream” degli Stateless è un brano che ci ha coinvolto tantissimo, fin dall’uscita datata 2007. L’utilizzo della parte elettronica in tutto il disco coincideva proprio con quel tipo di sonorità che io e Andrea volevamo fondere insieme alla Musica degli EAR. In EXOUSIA abbiamo letteralmente rivoluzionato il brano conferendogli un’anima electro-synth. “Bleed” dei Cold rappresenta invece una sorta di congedo della band, una specie di inchino agli anni passati che ci hanno portato fino ad oggi. “Bleed”, brano potentissimo anche nelle liriche, fa parte di un disco “13 Ways To Bleed On Stage” che, nel lontano 2000, risvegliò le nostre coscienze (ma in particolare la mia) e spinse me e Andrea ad intraprendere quel viaggio musicale che ancora oggi si chiama EAR''.

Ognuno di voi avrà sicuramente una canzone dell'album alla quale è più affezionato/legato. Quale? ''Ogni volta che me lo si chiede cambio idea, ma a istinto, se penso al brano che mi dà più soddisfazione aver scritto mi viene in mente “Insulo De La Rozoj”: sia per la linea melodica del cantato, che per i riff di chitarra che Andrea è stato capace di trovare: perché ritengo che siano proprio questi ultimi ad elevare il brano e a portarlo ad un dimensione spaziale che ben si sposa con le liriche. Diciamo che “Insulo De La Rozoj” è un brano che mi appaga in modo completo e mi dà, ogni volta che lo ascolto, l’illusione piacevole di “aver fatto centro”. Il brano a cui è più legato Andrea invece è “453 gr”. Qui le liriche e le melodie si sfiorano e si accarezzano, c'è un crescendo di intensità e coinvolgimento emotivo. Il risultato è un impatto delicato e devastante allo stesso tempo''.

Come vi piacerebbe venisse ricordato questo disco? ''Come un disco che non invecchia, o meglio ancora - per usare le parole di un caro amico dopo averlo ascoltato - ci piacerebbe che EXOUSIA rientrasse nell’insieme di quei dischi che, “come il vino buono, invecchiando migliorano”. Ho grandi aspirazioni, me ne rendo conto… (Riccardo Casini)