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22/08/2020   SIMONE CICCONI
  ''Soffro della sindrome dell’impostore, penso sempre di non essere all’altezza della situazione...''

Oggi incontriamo il musicista marchigiano Simone Cicconi (oggi di stanza ad Amsterdam), creatore di colonne sonore per videogiochi. Per l’occasione, parliamo del nuovo album “Cosa potrebbe mai andare storto?” in uscita a settembre.

Ciao Simone, il tuo background comincia nel 2001 con le colonne sonore per i videogiochi. Poi, cosa ti ha spinto ad abbracciare anche la carriera discografica? ''Ciao! In realtà comincia un po’ prima, con un paio di album di prog elettronico con i Meridiano Zero passati completamente inosservati. Poi nel 1999 la scelta di cantare in inglese ci ha portato fortuna, consentendoci di piazzare una canzone (''Welcome to tomorrow'') nella colonna sonora di un gioco per Xbox chiamato Dronez. Era da un po’ che studiavo composizione e sound design, e alla fine sono stato assunto dagli sviluppatori per fare tutto l’audio del gioco. La mia carriera è cominciata così, le canzoni sono una specie di ritorno al primo amore per me''.

C’è stato qualche ascolto in particolare che diede il via a tutto? Chi sono i tuoi mentori-ispiratori? ''Sin da ragazzino sono sempre stato affascinato dalle colonne sonore dei videogiochi, ero un hardcore gamer e per un periodo hanno rappresentato il mio ascolto principale. La chiptune di Chris Huelsbeck e Jeroen Tel ormai fa parte delle mie sinapsi. Però venivo dallo studio del piano classico e da un amore per i synth che era partito con l’ascolto dei Pink Floyd sin dalla tenera età. Poi ho avuto il periodo metallaro dal quale non sono mai uscito completamente, e poi la musica elettronica di Orbital, Prodigy e Future Sound of London ha plasmato il mio DNA negli anni '90''.

A settembre uscirà il terzo full-lenght “Cosa potrebbe mai andare storto?”, titolo che lascia ampie interpretazioni: in realtà cosa intendi? Ci anticipi qualcosa? ''Qua potremmo aprire un capitolo infinitolo, come direbbe Oronzo Canà :) )!!! La genesi del titolo risale al 2018; il mio secondo album ''RUMORE'' era appena uscito e stavo andando a suonare al CPM di Milano col mio chitarrista Nazzareno Zacconi per “L’artista che non c’era”. Avrei incontrato uno dei miei idoli (Franco Mussida) che a fine serata ci avrebbe abbracciato entusiasta della nostra musica. Avevo un buon lavoro in UK, vivevo con una gothic suicide girl che faceva la pole dancer ed ero davvero fiducioso che l’album potesse andare bene. Ricordo che in autostrada facevo le onde con la mano fuori dal finestrino pensando: “Cavolo! Dopo tanto tempo sono di nuovo felice. Cosa potrebbe mai andare storto?”. Inutile dire che nel giro di qualche mese ho perso il lavoro, la donna mi ha mollato, l’album è andato malissimo e non ho suonato praticamente mai...''.

Che differenze ci sono con i precedenti lavori “Troppe note (ma in compenso anche troppe parole)” e “Rumore”? Il vivere all’estero offre più stimoli ed occasioni? ''È parecchio differente dai precedenti, avevo bisogno di cambiare direzione. Ho ridimensionato le influenze rap, ho dato più spazio alle melodie, è meno basato sui riffoni di chitarra e più sulle atmosfere, e per forza di cose quando hai meno parole a disposizione anche il linguaggio risulta meno diretto e più poetico dei precedenti. Al contempo, le chitarre sono più presenti e l’elettronica è diventata più di atmosfera invece che ritmica. Vivere all’estero sicuramente influisce, soprattutto in Inghilterra dove secondo me hanno la migliore musica del mondo al momento''.

Nei 9 brani dell’album convivono rock ed elettronica in formula cantautorale. In particolar modo, ci parli dei 2 singoli estratti “Il vuoto” e “Cover band”? ''Pensavo alla sensazione di quando una persona sparisce dalla tua vita da un momento all’altro senza preavviso. Il cervello si aspetta ancora di vederla comparire da dietro una porta o di sentire la sua voce, e invece si ritrova con un vuoto difficile da riempire. Va da sé che per il testo italiano l’ispirazione andasse verso Montale, un genio nel creare le atmosfere sospese di cui avevo bisogno per la canzone. “Cover band” invece è un pezzo più ironico, in cui ripercorro la mia vita precedente di cantante frustrato di cover band mettendolo in parallelo con la relazione che stavo vivendo all’epoca. Una serie di velleità irrealistiche che risultano nella copia grottesca di una bella idea. In realtà i video estratti al momento sarebbero 3, c’è anche “Il paradosso di Fermi” in cui col mio amico Riccardo “Elettrone” Cofanelli scandaglio i disagi di una solitudine cosmica al quale neanche il grande scienziato era riuscito a trovare una soluzione''.

Rivelaci due curiosità: il tuo alias di sound-designer “UNDAtheC” e la partecipazione al disco in 8D di Flavio Ferri dei Delta V: “Altered Reality”... ''Innanzitutto si legge come fosse scritto “Under the sea” e non Undatek come leggono tutti! Ho fatto il compositore di colonne sonore per 15 anni e ultimamente mi sono concentrato più sul sound design. Nonostante le soddisfazioni soffro della sindrome dell’impostore e penso sempre di non essere all’altezza della situazione. Quindi cerco di studiare sempre cose nuove per essere il più preparato possibile. Ed in questo si inserisce anche la collaborazione con Flavio per il suo album sperimentale in 8D (che poi noi nei videogiochi abbiamo sempre chiamato positional audio o binaural). Volevo entrare nel mondo dei modulari ed imparare ad usarli, sentivo che mi mancava andare al cuore della scultura del suono. Così sotto quarantena ho cominciato ad assemblare un mio sistema e a pubblicare i miei esperimenti con cavi, manopole e pulsanti su YouTube, senza nessun altro scopo che ricevere consigli e suggerimenti. E invece Flavio comincia a farmi complimenti e gli dico di non farsi problemi se gli serve qualche traccia. Così comincia quella collaborazione che ha portato ad ''Altered Reality'', anche grazie alla voce del bravissimo Luciano “Elle” Sacchetti. Figurati, io sono sempre stato un fan dei Delta V ed ho una copia del loro primo album “Spazio” autografato ad un concerto, per cui non mi è parso vero...''.

In cosa si differenzia il tuo processo creativo tra l’ideare musica per i videogiochi e quello discografico? La componente “ludica” li accomuna entrambi? ''Credo che sia difficile liberarsi dall’imprinting iniziale. Io amo la musica che smuove sia il corpo che le emozioni. Adoro quando la gente salta ai miei concerti e si diverte, e mi piace anche il momento più intimo, quando ci si siede e si ascolta, e a volte è mi capitato che qualcuno si commuovesse anche. Nella sostanza direi che non c’è grande differenza tra la composizione delle canzoni e delle colonne sonore, si tratta sempre di donare potenza ad un’emozione''.

Quando progetti, per te è più importante comporre soluzioni “popolari” oppure trovare anche il guizzo speciale che possa appagare le esigenze più disparate? ''Dipende! Il pop secondo me non è un genere ma piuttosto un’attitudine, ed io penso di esserne abbastanza lontano. Non sarebbe difficile per me seguire il mainstream... per il mio lavoro mi chiedono continuamente “musica che suona come” (inserire la moda del momento), e come sound designer devo essere sempre aggiornato sulle nuove tendenze e saperle riprodurre anche quando magari non sono troppo d’accordo. Come artista me ne frego allegramente e faccio quello che piace a me :)''.

Salutando Simone Cicconi gli formuliamo i nostri migliori auspicii per crescenti affermazioni professionali e per ora (ma solo per ora)… game over!