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01/10/2020   DISKANTO
  ''Proviamo a non essere banali e ad usare la poesia in musica come arma di liberazione...''

Così come ha scritto il nostro Gilberto Ongaro nella sua recensione su Music Map (http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=7907), “l’album dei cremonesi Diskanto, “Temerari sulle macchine volanti”, tiene alto il volume degli amplificatori”. I Diskanto non sono solo una band ma rappresentano l’animo più rock del cantautorato italiano. Otto brani inediti e un omaggio a Gianmaria Testa (''Povero tempo nostro''), confezionano un progetto dalla notevole maturità artistico-musicale, in cui l’incontro tra il mondo del cantautorato e quello del garage rock. con sfaccettature di grunge e rhythm'n'blues, danno vita a canzoni che parlano di amore per la vita, sete di relazione umane e di denuncia civile.

Otto brani inediti e un omaggio a Gianmaria Testa. Otto storie nel vostro album. Qual è la storia dei Diskanto? ''Una storia lunga 35 anni esatti! I Diskanto nascono infatti a Cremona il 1° ottobre del 1985. Lungo questo percorso, intorno ai due fondatori, Turo e Loris, si sono alternate diverse formazioni, con fasi più attive e momenti di pausa, ma la passione per la musica e il desiderio di raccontare storie, stimolare emozioni e riflessioni hanno sempre costituito dentro di noi una brace potente, che ci ha spinto a tornare a scrivere e lanciare nuovi messaggi nella bottiglia al mare magnum dei nostri ascoltatori. L’attuale formazione è senza dubbio quella che più di ogni altra sta regalandoci soddisfazioni dal punto di vista della maturità compositiva, dell’affrancamento da modelli stilistici di riferimento e dell’apprezzamento da parte di pubblico e critica. In passato abbiamo calcato anche palchi molto importanti (come Arezzo Wave, Rock Targato Italia, Medimex di Bari), nuotando all’interno della grande e prolifica onda del “nuovo rock italiano” che ha caratterizzato gli anni ’80. Ma eravamo meno riconoscibili e originali di oggi. L’ingresso di Stefano prima (nel 2010) e di Fausto poi (nel 2016) ha progressivamente conferito al nostro sound potenza e varietà nelle soluzioni ritmiche, linee melodiche più originali e serrate, una gamma di colori sonori più ampia e la rimozione di fronzoli, orpelli, assoli e barocchismi che appesantivano un po’ la nostra precedente produzione. Gli 8 brani che compongono questo nuovo album, a cui abbiamo voluto aggiungere una chicca finale dedicata al compianto Gianmaria, rappresentano l’approdo attuale di questo cammino di crescita''.

Da dove è nata la voglia di raccontare queste otto storie in un equilibrio tra rock e poesia? ''Dal desiderio di fotografare questo momento magico di evoluzione della band, del quale ci sentiamo assai soddisfatti e gratificati. Un lavoro discografico essenziale, tagliente, asciutto e potente, registrato all’Elfo Studio di Tavernago, quasi interamente in presa diretta, per conservarne il più possibile il mood originario e l’energia live. Volevamo lasciare traccia di questa nuova fase creativa, in cui – come sempre per i Diskanto – lo scopo è arrivare al cervello dell’ascoltatore, passando dal cuore. “Temerari sulle macchine volanti” è un disco in cui si mescolano rabbia e speranza: gli ingredienti più efficaci per sognare un mondo migliore e stimolare il cambiamento. Un album che ha come filo conduttore l’osservazione critica dello stato delle relazioni tra gli umani in questa fase storica, un po’ buia e paludosa. Così ne “Il lanciatore di coltelli” si parla della superficialità con cui molte persone intrattengono relazioni di amicizia che non si spingono mai nel profondo e nell’intimo del proprio vissuto, per paura di mettere a nudo le proprie ferite. Si limitano a frequentarsi, sfiorarsi e riempirsi di complimenti effimeri e fotografie, per nutrire un ego fragile e narcisistico, rimanendo tuttavia precarie e poco costruttive. Ma si parla anche della paura, che sembra dominare i comportamenti di molti (in “Vecchie abitudini”), del bisogno di affidarsi a nuovi profeti e fedi, laiche o religiose che siano (in “Ci credi ancora?”), dell’insano desiderio di autoritarismo e proibizionismo che periodicamente emerge dalla pancia della gente (in “Un giro di vite”), del cinismo e dell’indifferenza che permea molti adulti e della voglia di cambiamento e di nuovo senso etico che viceversa alimenta una parte importante dei ragazzi e delle ragazze che negli ultimi mesi hanno dato voce a grandi domande di cambiamento (in “Odio gli indifferenti”), del furto di futuro che la precarietà delle relazioni lavorative sta producendo sulle giovani generazioni (in “Non avrai il mio scalpo”) e di come troppo la dignità delle persone possa essere calpestata (in “Zep”). Per noi la parte testuale ha un’importanza equivalente a quella musicale. Proviamo a non essere banali e ad usare la poesia in musica come arma di liberazione''.

Vi sentite, anche un po’, l’etichetta addosso di chi vuole fare rock strizzando l’occhio al cantautorato? ''Le etichette sono sempre coperte rassicuranti per chi le applica e gabbie oppressive per chi le subisce. Nel mondo artistico in particolare, dove – seppure in un periodo certamente non particolarmente innovativo – per lo meno gli steccati tra generi sono stati negli ultimi anni ampiamente abbattuti e il crossover domina ovunque. Siamo una rock band che cerca di fare buona musica, senza inseguire alcuna moda, né strizzare l’occhio al mainstream dominante, che crede nel ruolo sociale della musica e dei linguaggi espressivi in genere. Siamo romantici convinti che una canzone possa ancora aiutare a spezzare catene, abbattere muri, accendere luci nel buio della solitudine e stimolare dubbi sulla realtà che ci circonda. Nelle nostre canzoni proviamo a raccontare storie di vita vissuta, utilizzandole come vettore di denuncia e stimolo per la riflessione. In questo senso certamente camminiamo territori contigui a quello della musica d’autore, ma esistono esempi illustri di rocker che hanno declinato la loro musica anche come impegno civile, all’estero come in Italia''.

Su un brano come “Povero tempo nostro” si rischia di cadere musicalmente parlando, ma voi siete riusciti benissimo nel rispettarlo e nel rispettare la poesia di Testa. Come siete arrivati a scegliere questo brano per omaggiare Gianmaria Testa? ''Grazie! Reinterpretare in chiave rock un brano così intimo e potente, eseguito nella versione originale sostanzialmente per sola chitarra acustica e voce, rappresentava certamente una sfida insidiosa e nel contempo stimolante. “Povero tempo nostro” è un brano struggente e intenso, uscito postumo nel 2019 ad opera della moglie Paola Farinetti, che lo ha rinvenuto tra i provini registrati da Gianmaria. Una preghiera laica, un’invettiva contro i “bestemmiatori di parole”, così diffusi nell’epoca dei social network e del confronto sterile, litigioso e sordo a cui assistiamo quotidianamente tra opposte fazioni, in ogni campo. Ci siamo avventurati, in accordo con Paola, in una rilettura umile, il più possibile e rispettosa del grande pathos che il brano racchiude, inserendo un nuovo riff di chitarra e una ritmica avvolgente. A quel punto è venuto naturale coinvolgere un amico come Roberto Cipelli (compositore e pianista al fianco di artisti della statura di Paolo Fresu, Ornella Vanoni, Tiziana Ghiglioni e molti altri), che di Testa è stato amico e strumentista per anni, chiedendogli di iniettare un po’ dello spirito di Gianmaria all’interno del brano. Roberto ha aderito entusiasticamente e ha cavato dal cilindro quella magia a cui solo un grande jazzista come lui poteva dar vita. A quel punto la canzone ci è sembrata perfetta per chiudere, seppur anomalmente, un album che il “tempo nostro” prova a raccontarlo usando la parola con molta cura e attenzione, per esercitare principalmente i due compiti più preziosi che le attribuiamo: quelli della narrazione e della denuncia''.

Gianmaria Testa è uno di quei punti di riferimento per la musica cantautorale italiana a cui forse non è stato dato il giusto spazio di ascolto. Cosa ne pensate? ''Parafrasando McCarthy, il nostro non è un paese per raffinati. Gianmaria Testa, come ad inizio carriera Paolo Conte, ha avuto assai più successo in Francia che in Italia, dove le sue canzoni ricamate, mai sguaiate, al contempo acute e delicate, appoggiate su melodie a cavallo tra la musica popolare e il rock, hanno trovato una platea più colta e disponibile ad un ascolto non distratto. Ciò nonostante, negli anni Testa ha saputo costruire con tenacia, anche in patria, un proprio pubblico di affezionati e sempre più numerosi estimatori, raccogliendo anche importanti premi e riconoscimenti dalla critica. Era un profondo indagatore degli animi umani e un vero temerario, sempre schierato dalla parte dei più deboli e dei reietti. Ci manca molto e manca a tutta la scena artistica nazionale''.

Pensate che la qualità della musica di oggi potrà arrivare anche a chi ha perso i punti di riferimento tradizionali a cui attingere per trovare la bellezza della canzone italiana? ''Al momento la nostra scena artistica sembra vivere una fase un po’ stagnante e poco creativa. La musica italiana promossa dai media ci appare orientata ad essere troppo spesso “merce” e sempre meno “opera d’arte”. Chi compone sembra pensare al pubblico e al mercato che comprerà piuttosto che al proprio desiderio di originalità e creatività. In questo modo le proposte si omologano e sembrano ripetersi secondo canoni standardizzati di sonorità, linee melodiche e persino il modo di interpretare i brani e di cantarli pare fatto a stampo. Testi non di rado di ridottissima qualità, tutti schiacciati sulla descrizione di una quotidianità spicciola e fine a sé stessa. Oggi i ragazzi conoscono e cantano canzoni di artisti e gruppi ante anni ’90. Non siamo del tutto sicuri che tra 30 anni sarà rimasto molto dell’attuale produzione indie e trap, anche se fortunatamente ci sono autori che ancora riescono a produrre canzoni di matrice rock con grande coraggio, efficacia ed originalità. Pensiamo a Paolo Benvegnù, Manuel Agnelli, John De Leo o a formazioni più giovani come La Rappresentante di Lista''.

Dall’85 ad oggi sono passate molte volte le lancette dell’orologio. Negli anni avete diviso il palco con personaggi della musica italiana come Timoria, Litfiba, Diaframma, Underground Life, Casino Royale, DHG, Paolo Benvegnù. Di cosa vi siete arricchiti e qual è stata la sensazione una volta scesi dal palco che avevano calcato quei nomi? ''Scendere da qualsiasi palco è quasi sempre una sensazione adrenalinica inebriante. Lavori tanto tempo per quel risultato: proporre dal vivo l’opera del tuo ingegno, il frutto della tua creatività, la tua energia, le tue emozioni, i tuoi contenuti, e vedere l’effetto che producono sulle persone che hai davanti è il momento più magico e gratificante per un musicista. Farlo nel contesto di festival o manifestazioni in cui si esibiscono più artisti è ancora più bello, perché si mescolano i pubblici, si condividono le emozioni del pre e dell’after-show, si stringono amicizie nei camerini. Negli anni i Diskanto hanno incrociato tanti altri artisti, con molti dei quali sono nate belle relazioni che ancora oggi resistono. Dal momento che abbiamo sempre pensato alla musica come un laboratorio aperto, in cui si scambiano affetti e idee, tutti i nostri dischi sono ricchi di ospiti e collaborazioni con amici musicisti, a cui abbiamo chiesto di lasciare traccia della loro creatività nelle nostre canzoni. Così sui precedenti album hanno suonato e cantato Piero Pelù, Mac dei Negrita, Mauro Sabbione, MC Febbo, Omar Pedrini, Giovanni Guerretti ed altri ancora. In Temerari abbiamo con grande piacere ospitato Melissa Fontana dei Duramadre (che ha cantato lo special de ''Il lanciatore di coltelli''), Omar Pedrini (che ha duettato con Turo in ''Ci credi ancora?''), Franchino D’Aniello dei Modena City Ramblers (che ha suonato il flauto in ''Zep'') e Roberto Cipelli (al pianoforte e Fender Rhodes in ''Povero tempo nostro'').

Quali sono le tre canzoni di questo album che vorreste far ascoltare ad un mondo troppo veloce come quello in cui viviamo? ''Sempre difficile scegliere tra i propri figli… Diciamo che in questo disco ci sono alcuni brani di transizione tra la precedente fase e quella attuale dei Diskanto ed altri che invece rappresentano pienamente l’identità odierna della band. Dovendo indicarne solo tre, li pescheremmo quindi tra quelli più rappresentativi di questa fase: “Il lanciatore di coltelli”, “Vecchie abitudini” e “Odio gli indifferenti”. Quest’ultima è stata anche il singolo di apertura del disco, lanciato all’uscita dell’album con un lyrics video basato su disegni della bravissima Francesca Follini (autrice anche della copertina che ci ritrae a bordo di improbabili biplani di inizio ‘900) e animato da Stefano''.

Covid permettendo, quali saranno i passi futuri dei Diskanto? ''“Temerari sulle macchine volanti” sta raccogliendo numerose recensioni e riscontri positivi. Noi bruciamo dalla voglia di risalire sui palchi e far ascoltare dal vivo al mondo le canzoni vecchie e nuove dei Diskanto. Speriamo di poter recuperare da ottobre la mini tournée che siamo stati costretti ad annullare a inizio anno, causa emergenza sanitaria, dopo aver fatto la sola prima data alla Latteria Molloy di Brescia. Promuoviamo il disco anche grazie ad interviste come quella che ci avete gentilmente offerto voi di Music Map e ve ne siamo grati. Nel frattempo, continuiamo a lavorare su materiale nuovo, e dunque il futuro potrebbe riservare anche sorprese in questo senso. In cantiere anche un nuovo video per il terzo singolo dell’album. Siamo pluriventicinquenni con dentro il medesimo fuoco sacro delle origini, arricchito e dalla maturità e dalla consapevolezza conferite dagli anni e dall’esperienza Non vi libererete facilmente di noi…! Un abbraccio da Loris, Ste, Fausto e Turo''.