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27/11/2020   ALTARE THOTEMICO
  ''L'esigenza di apparire, senza mai cercare di essere...''

Gli Altare Thotemico fanno capo al musicista, poeta, sperimentatore, scrittore Gianni Venturi. Ultimamente, hanno pubblicato il 3° lavoro: “Selfie, ergo sum”. Rivolgiamogli alcune domande per saperne di più.

Ciao Gianni. Quant’è che esistono gli Altare Thotemico e come è nata l’idea? ''Esistono dal 2008, incontrai Leonardo Caligiuri, all'epoca ragazzino di 17 anni. Io oramai mi occupavo di sperimentazione vocale e poesia sonora, non avevo più intenzione di tornare alla musica. Ma fu magia al primo incontro. Una serie di ragazzini gravitavano attorno a noi, quando mi resi conto della bellezza del progetto, proposi la cosa a mio fratello Valerio Venturi e a Davide Zannotti. Nacquero gli Altare Thotemico''.

Negli anni c’è stato qualche avvicendamento nella formazione: quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato per superarle, oppure, per certi versi, vi ha dato maggior convinzione nel continuare? ''Il chitarrista del primo disco se ne andò all’uscita dell'album, sostituimmo la chitarra con un sax, e ci spostammo immediatamente verso un jazz rock più improvvisativo. Poi anche Davide fece altre scelte, quindi costruimmo un supergruppo: Emiliano Vernizzi al sax, presente anche nel terzo, Max Govoni alla batteria, “Legolas” Toscani al violino, Leonardo ancora piano e tastiere, Valerio al basso. Nessuna difficoltà, ma tanto feeling. Poi per vari motivi Leonardo ha fatto altre scelte. Ho incontrato Marika Pontegavelli in una giornata di musica, ispirazione e poesia, poi Filippo Lambertucci che conoscevo da tempo, giovanissimo ma talentuoso batterista, subito in sintonia con me. Valerio fa fatto altre scelte, pur con malinconia l’ho sostituito con il mitico Giorgio Santisi! Grande bassista, umanità, cuore e tecnica. Poi dopo tanto è arrivato un chitarrista, suoni a cui non ero più abituato! Agostino Raimo. A mio avviso uno dei migliori chitarristi in circolazione. Grande band per un disco fantastico, nato in sala prove, registrato quasi in diretta. Come si faceva un tempo''.

Con “Selfie, ergo sum” siete al terzo album ed ogni volte avete ricercato stilismi diversi. Quanto è difficile reinventarsi ogni volta? ''Per quanto mi concerne, ogni giorno mi reinvento. Ho così tanti progetti che a volte fingo si tratti dello stesso. Certamente il linguaggio poetico e sperimentale accomuna tutti i miei lavori. Poi lavorare con tante menti giovani, ha fatto sì che si siano unite differenti identità, mi piace!''.

Già col primo album omonimo e col successivo “Sogno errando” avete ricevuto lodevoli riconoscimenti. Qual è quello che ricordate con più soddisfazione? ''Con il primo disco arrivammo primi in Italia e terzi nel mondo come album d’esordio nei Progaward. Le recensioni preferite sono Mat2020, Gianni Sapia lesse l’album in maniera perfetta. E poi Max Salari''.

Quali tematiche affrontate nel nuovo album? E qual è quella in cui vi sentite più coinvolti? ''Già nel secondo disco ''Sogno errando'' citavo: “Non ho la password per entrare nella mia vita”. ''Selfie, Ergo Sum'' continua il discorso dell’esigenza di apparire, senza cercare di essere, la prepotenza della guerra, i grandi profitti che ogni conflitto crea per pochi. La devastazione della Madre Terra. Tutti concetti che da sempre esprimo evolvendoli di volta in volta''.

Il vostro sound, di non facile collocazione, ingloba elementi di prog tribale e psichedelico, groove, sperimentazione e jazz-rock. Come gestisci il processo creativo per ottenere la formula? ''Non è difficile, basta mettere in una stanza 5 musicisti creativi con esperienze diverse e spingere ON!''.

Si dice che il lockdown abbia, spesso, alimentato nuova linfa compositiva negli artisti per il maggior tempo a disposizione. E’ successo anche a te e agli altri? Siete riusciti, in qualche modo, a non fermarvi con il confronto online? ''Il lockdown è un veleno che ci ha impedito di suonare, e per un gruppo che fonda tutto sul live, è drammatico, a livello di band l’incontro è essenziale. Personalmente ho creato molto, mi è uscito un libro di poesie, ''21 grammi di solitudine'', con Ladolfi Editore, ed un disco sperimentale con Alessandro Seravalle, ''QOHELET''.

La vostra filosofia si ispira alla frase di Goethe “costruire il futuro con elementi del passato”. Oltre ai dischi, l’applicate per i live, una volta che si uscirà dall’emergenza sanitaria? Stai preparando qualcosa di nuovo come solista? ''Il live spesso è composizione istantanea, si parte dal disco, ma poi si lascia libera la creatività. Da solista per ora nulla, ma sta nascendo il terzo MOLOCH con Lucien Moreau!''.

Augurandogli ottime prospettive, salutiamo Gianni Venturi e gli Altare Thotemico per averci offerto l’opportunità di conoscerli meglio . Alla prossima! (Max Casali)