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14/10/2013   LUCA POLETTI
  'Il jazz è la matrice con cui plasmare l’intera architettura sonora...'

Dal titolo e dalla copertina, ''Colors'' dà immediatamente la sensazione di varietà stilistica: è questa la caratteristica principale dell’album? ''Sì, e mi fa piacere che venga trasmessa questa sensazione perché significa che il lavoro ha un suo stampo, in un certo senso rappresenta qualcosa di unico. La varietà stilistica, in realtà, è stata una scelta quasi obbligata, forse per via dei miei interessi musicali che vanno da Monteverdi a Charlie Parker passando per i Pink Floyd, Herbie Hancock, Mingus e i Led Zeppelin. Per me il jazz, in fondo, è proprio questo, sintetizzare ed esprimere il proprio mondo cercando di essere ascoltatore attento del proprio presente. Lo confesso, non sono mai stato un purista, ed è forse per questo motivo che ''Colors'' racconta un viaggio musicale attraverso i molti colori che amo; in questo senso, il jazz e l’idea che esso rappresenta, è stata la matrice con cui plasmare l’intera architettura sonora. Mi sono concentrato nell’approfondire un colore per volta avendo il coraggio di restare sulla tinta scelta senza scivolare via velocemente per paura di perdere un equilibrio. D’altro canto, però, non vorrei passasse l’idea che questo album sia una sorta di facile compilation nella quale si balza da uno stile all’altro senza serietà, non è così; è un percorso musicale definito che tocca differenti colori ma che ha una propria struttura compositiva ed una sua narrazione ben precisa e direzionata''. Come mai hai definito ''Colors'' un concept album? È una prerogativa frequente in molti dischi rock, soprattutto laddove ci siano testi e la narrazione di una vicenda lunga tutto l’album… ''Credo che il concept album sia uno strumento straordinario: aiuta a creare un viaggio narrativo unico che l’ascoltatore può assaporare appieno perché ne riconosce la sua identità, il suo “peso”, una storia con un inizio, uno sviluppo ed una fine... rappresenta quindi qualcosa di completo in sé stesso. In questo senso nel rock è il re incontrastato (''Dark side of the moon'' è l’esempio che mi piace di più), ma troviamo straordinari esempi anche nella musica pop nazionale, mi viene subito alla mente ''Storia di un impiegato'' di Fabrizio De Andrè, un capolavoro assoluto. ''Colors'' è un concept album perchè i brani creano questo famoso viaggio. Sono senza soluzione di continuità e trattano velatamente una storia: quella di un pianista che, in cerca di ispirazione, fa zapping tra svariate frequenze radio nella speranza di trovare qualcosa che lo possa coinvolgere. Incorre prima in Monteverdi, poi in Chopin, quindi in Petrucciani e Leonard Bernstein tra i tanti (i miei amori), e via via finchè scopre una composizione che lo colpisce. Sintonizza meglio e... zac, parte il disco. I brani scorrono veloci finchè verso la fine del disco il segnale diventa improvvisamente così disturbato che il pianista decide di spegnere la radio e di sedersi al pianoforte per ripercorrere ciò che ha sentito. Ovviamente avendo ascoltato queste composizioni una volta sola, cerca di eseguire quello che ricorda. Ecco dunque l’ultimo brano: ''Colors''. Al di là dei brani, questo lavoro necessitava di qualcos’altro per essere completo, ho deciso quindi di unire le composizioni tra loro con dei Preludi (due scritti da Fresu) che portassero nuovo materiale di collegamento''. ''Colors'' è un disco d’esordio che presenta al pubblico la tua visione della musica e nello specifico del jazz: ci sei arrivato timoroso oppure, come spesso capita, pieno di idee e stimoli? ''Sono arrivato in studio pieno di idee e di materiali musicali diversi, avevo voglia di mettere su disco quello che mi girava in testa da tempo, diciamo che è stata quasi una necessità. Il jazz ovviamente è stato il compagno ideale che mi ha aiutato a delineare il viaggio, la narrazione, mentre i tasselli compositivi sono venuti fuori pian piano, brano dopo brano, nota dopo nota, colore dopo colore. Credo che questo disco mi rappresenti, e non intendo soltanto per le emozioni che sono legate alla sua realizzazione (e sono molte!) ma perché ogni brano raffigura una parte della mia vita. ''Raining Grey'', ad esempio, esprime ciò che mi trasmette la città di Trento e la mia curiosità per i grandi compositori contemporanei come Luciano Berio, ''Sirene'' la mia passione viscerale per l’armonia, ''Strolling Around'' la leggerezza del vagare senza meta e le meravigliose sonorità ECM, ''This Is For You'' una parte molto importante del mio cuore, come altrettanto ''Leo'', brano dal sapore pop dedicato al mio nipotino. Ho avuto la possibilità di sperimentare alcune soluzioni free in ''Bastian oirartnoC'', in ''Preludio e fuga (dalla realtà)'' invece è uscita la parte più intima e fumosa del jazz (in duo con Paolo), ed infine in ''Sold 20%'' è contenuto la mia passione per il funk nero con una strizzata d’occhio ai Tower of Power. Insomma, come avrei potuto non imprimere tutte queste idee su disco?''. I pezzi sono intervallati da preludi strumentali: che funzione hanno questi brani? ''I Preludi credo siano stati l’azzardo più grande; un azzardo che ha consentito però di ideare un percorso al di fuori delle composizioni originali. I preludi lavorano su binari contrapposti e autonomi ai brani, utilizzano infatti metodologie compositive molto diverse come i quarti di tono, l’improvvisazione libera, i metri e polimetri e l’elettronica. Il motivo per il quale ho scelto di inserire questi interventi è stata la volontà di creare un terreno che aiutasse a “ripulire” le orecchie dalle sonorità dei brani appena ascoltati ed entrare incontaminati dentro al nuovo materiale sonoro. Forse, è stato proprio per questo motivo che il disco ha trovato un suo equilibrio; le composizioni da una parte e i preludi dall’altra, due storie distinte ma sempre compenetranti''. Spicca in modo particolare la partecipazione di Paolo Fresu: per quale motivo hai voluto uno dei più importanti nomi del jazz internazionale? ''Paolo è quel genere di artista di cui ti puoi innamorare facilmente: suono avvolgente e radicato, fraseggio intrigante, eleganza e profondità in ogni singola nota... un artista davvero unico. Queste caratteristiche sono estremamente vicine al mio ideale di suono, di intenzione musicale e di visione della musica; dentro di me ho sempre saputo che l’artista perfetto per questo disco sarebbe stato lui. Il nostro incontro è avvenuto tre anni fa, quando ho avuto il piacere di realizzare un concerto con la big band del Conservatorio e Fresu come ospite. Successivamente un’altra occasione è stata con l’Alborada String Quartet, e infine abbiamo mantenuto i contatti per un’intervista per la mia tesi della laurea specialistica in Musica Jazz presso il Conservatorio “F.A.Bomporti” di Trento. Che dire? Il coronamento di un sogno''. Cosa hai potuto imparare dalla collaborazione con un musicista così esperto? ''Da Paolo ho imparato molto, sia dal punto di vista musicale che umano. In primis direi l’intensità con cui dare significato ad ogni singola nota, poi pensare che i generi e gli stili sono solamente dei codici e non dei dogmi che, in fin dei conti, possono essere tranquillamente infranti; vedere i problemi da varie angolature cercando sempre nuove soluzioni e soprattutto porsi in modo propositivo in ogni situazione. Un grande artista al quale devo davvero molto''. Altrettanto importante per la buona riuscita del disco è il coinvolgimento di Stefano Amerio e Artesuono: un valore aggiunto? ''Assolutamente sì! Stefano è stato davvero un valore aggiunto; un vero artista del suono, un esperto ascoltatore e un consigliere sempre attento e sincero. La sua professionalità e disponibilità hanno davvero contribuito all’ottima realizzazione di ''Colors''''. Sei giovanissimo ma hai già alle spalle un curriculum straordinario: tra le numerose esperienze e le svariate collaborazioni che hai avuto, c’è qualcuna che ricordi in modo particolare e che ti ha segnato profondamente? ''La prima collaborazione è sicuramente quella con Bruno Tommaso, arrangiatore sopraffino e direttore d’orchestra che sa sempre ottenere il meglio dai suoi orchestrali, con simpatia e direzione; con lui abbiamo montato un concerto su musiche di Gil Evans nel quale ho realizzato alcune orchestrazioni ed arrangiamenti per l’orchestra. Un’altra esperienza che ricordo con piacere è quella con Uri Caine e Giancarlo Gazzani, in quel caso ho preparato la big band ed abbiamo fatto un concerto su musiche di Ellington. Che carisma incredibile! Uri è una persona gentile e molto disponibile. Tutte esperienze che ho realizzato grazie al pianista e amico Roberto Cipelli che ha sempre lavorato molto per poterle rendere reali. Una grande occasione è stata l’esecuzione di un mio arrangiamento da parte di Steve Swallow, un suono meraviglioso e un gigante del basso jazz! Ho avuto il piacere di collaborare con molti altri artisti tra cui Fabrizio Bosso, Andrea Tofanelli e infine Enrico Ruggeri al quale ho fatto da gruppo spalla. Tutti artisti molto diversi tra loro ma con un amore per la musica talmente forte da accomunarli''. Cosa puoi dirci della strumentazione usata nel disco? ''Nel disco ho utilizzato principalmente il pianoforte a coda Fazioli F278 di Stefano Amerio, uno strumento squisito, perfettamente bilanciato e con dei bassi che ti fanno ringraziare il momento in cui hai iniziato a studiare pianoforte; il Fender Rhodes Mark 1 a 88 tasti (sempre di Artesuono), uno strumento dal suono favoloso che ricorda i migliori anni ’70, ed infine vari sintetizzatori collegati al Mac che mi hanno consentito una paletta sonora molto ampia''. Cosa ti aspetti da questo album d’esordio? ''Domanda difficile! Principalmente mi aspetto che sia proprio il disco a parlare per me''.