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09/04/2022   LALLA BERTOLINI
  ''La mia musica è un grido che vuole essere ascoltato e interpretato. Anzi, vorrebbe…''

Ciao Lalla. Nonostante tu abbia all’attivo solo un paio d’album, però è già un ventennio che sei sulla scena. Che bilancio fai del tuo background? ''Ciao Max. Molto buono. Ho fatto molta fatica a salire su un palco, e all’inizio l’ho fatto da sola, chitarra e voce. Fin dall’inizio suonare dal vivo mi ha regalato emozioni forti e scoperte che mi scombussolavano totalmente. Facevo fatica a gestire anche il ‘dopo’. Piano piano ho preso confidenza. E in effetti ho fatto moltissime esperienze dal vivo, sia da sola che in gruppo, in occasioni disparate e anche molto diverse tra loro. Ho incontrato parecchie persone: musicisti, produttori, organizzatori e giornalisti. Non sempre ero a mio agio ma sempre imparavo qualcosa. Ho avuto dei bei riconoscimenti, e anche grandi delusioni. Mi interrogavo spesso sulla natura della mia ‘vocazione’ ma sicuramente avevo un gran desiderio/bisogno di esprimermi, ed è quello che mi ha fatto andare avanti, fino a capire che per organizzare tutto il materiale che avevo, parlo sia di canzoni che appunto di emozioni e bisogni, dovevo ‘fermarlo’ in qualche maniera. E così ho allargato le mie prospettive ed è diventato importante dare un direzione più produttiva alla mia esperienza. È così che sono nati due album. Anche se sono arrivati tardi, io li considero degli esordi''.

Prima di avventurarti come solista, hai militato in una band. Che esperienza è stata e cosa ti traini da quel vissuto? ''Ho avuto varie collaborazioni. La prima è stata in un quintetto folk-rock, piuttosto potente: oltre a me, chitarra e voce, c’era un chitarrista solista, un basso, batteria e percussioni. Con questi musicisti (Danila Massimi, Valerio Guaraldi, Emanuele Bertolini e poi Flavio Balzanelli, Luca Fortunato) ho suonato e arrangiato (oltre ad un mio repertorio in italiano, con il quale abbiamo anche partecipato ad ‘Arezzo Wave’) 13 poesie di E. Dickinson, messe da me in musica chitarra e voce. È stato un processo collettivo intenso e molto proficuo, in piena libertà: il disco era spiazzante e in qualche modo, rispetto all’immagine classica della poetessa americana, irriverente: infatti non è stato pubblicato… ma esiste e ci punto ancora. L’esperienza di questo primo gruppo è stata grandiosa, devo dire: iniziare a suonare insieme e dopo due anni trovarsi ad Arezzo… neanche mi sono resa conto di quello che era successo. Poi ho suonato da sola; poi per due periodi in trio; poi di nuovo da sola e infine sono tornata ad avere una band, quella attuale, con la quale ho arrangiato e suonato live i miei 2 dischi auto-prodotti. Devo dire che per me un live adesso è immaginabile più con una band che senza, la musica collettiva colma tutto quello che da sola non riesci ad esprimere, ciò che apportano altri musicisti è incredibile, perché spontaneo e ‘altro da te’, e vederlo funzionare è entusiasmante, ma potrebbe essere che io debba riprendere a suonare da sola, anche per necessità''.

“La Terra Liberata” esce dopo due anni dal debutto “Lo Straniero”. Due opere che sembrano avere qualche punto in comune, a cominciare dal numero delle canzoni (8). Tuttavia, in cosa si differenziano? ''Sì, hanno molti punti in comune perché riflettono i miei ultimi anni, entrambi. Non ho fatto selezioni delle mie canzoni ‘migliori’, ho scelto quelle che sentivo di poter cantare ora, in relazione al mio stato d’animo, insieme a quelle composte in questi stessi anni, ovviamente. Ho cercato una compattezza espressiva. ‘Lo straniero’ è più scuro, più introverso. ‘La terra liberata’ si rivolge più direttamente agli ascoltatori, è un grido che vuole essere ascoltato e interpretato, anzi, vorrebbe…''.

Ancora 8 inediti tranne uno: “Chiaroscuro” del cantante-busker romano Franco Fosca. Perché questa scelta? ''Franco è stato un grandissimo amico, ha rappresentato molto per me. E anche per tanti altri, moltissimi a dir la verità. Io posso parlare per la mia esperienza: era una persona sopra le righe, anzi potrei dire che volava ad un paio di metri sopra gli altri, pur avendo i piedi ben piantati a terra. Aveva valori chiari e alti e li viveva nel concreto, come raramente ho visto fare... Aveva moltissimo humor e le serate passate con lui mi riempivano di una gioia intensa e immensa, sì, veramente speciale. Questo dal punto di vista umano. In più era un grandissimo cantante e chitarrista: faceva pezzi suoi e l’intero repertorio di Dylan, alla perfezione, anzi meglio, e moltissime altre canzoni, di tanti generi diversi. D’altronde ci viveva di questo, suonando per la strada. In più si dava da fare come un matto per far suonare tutti i cantautori ‘immersi’ che conosceva. Era un instancabile organizzatore, e polarizzatore. In più, duettare con lui ti faceva provare e imparare cosa significa il rispetto umano e artistico: faceva delle seconde bellissime e non ti era mai d’intralcio anzi sempre di aiuto e sostegno. Io al contrario ero completamente negata in questo! A volte si incazzava di brutto, perché non erano poche le persone che non capivano la sua grandezza, compresa io stessa in non pochi frangenti: ma durava poco. Riprendeva subito il suo sorriso sardonico e brillante. Dava molto amore, concreto. Un vero amico, perla rarissima''.

Per formare la tracklist hai attinto anche a brani del passato, forse rimasti nel cassetto e maturi solo ora per essere valorizzati? ''Ti confesso che, a parte le primissime composizioni, non riesco a sentire i brani che ho composto negli anni come ‘datati’. Mi sembrano tutti attuali (o tutti fuori dal tempo, a secondo di come uno sente e vede la vita), probabilmente perché la mia è una scrittura che attinge all’universale umano. Mi spiego: non traggo spunto quasi mai da cronache o episodi strettamente odierni, e se lo faccio è per ampliare il loro orizzonte, inserirli dentro un corso infinito di eventi e situazioni che alla fine non variano di molto, fanno parte tutti del fiume della vita''.

Abbiamo apprezzato lo splendido contrappunto sassofonistico di John Madge in “Sogno di New York” (vero apice dell’album). Come nasce la collaborazione con lui? ''L’arrangiamento di ‘Terra Liberata’ è opera del chitarrista e compositore Carlo Melodia, con cui ho suonato negli ultimi anni. MI sono affidata completamente, e dopo un paio di discussioni iniziali, in cui ho espresso il mio punto di vista sul materiale registrato, ha fatto tutto lui. John Madge è una sua conoscenza, si trovava in Sabina in quel periodo e ci ha fatto il grande dono delle sue note e della sua sensibilità, grazie alla sua amicizia con Carlo. Una coincidenza insperata e bellissima''.

Perché sei attratta tra il dialogo storico tra Simone Weil e Lev (Leone) Trockij per sancirlo in “Da Simone a Leone”? ''Perché mi sembrano personaggi quasi antitetici, mai avrei pensato che si fossero incontrati… ma il mondo è piccolo! Come si diceva una volta. Il contenuto del dialogo, è bene precisarlo, è completo frutto della mia fantasia. Non ho idea di cosa si siano detti, e su cosa si siano scontrati. Conoscendo il percorso di Simone Weil, e un poco il temperamento di Trockij, lo ho immaginato svolgersi su temi generali, come l’uso della violenza o meno ai fini del progresso dell’essere umano''.

Per te, ogni tipo di rapporto (amicale, familiare, sentimentale, sessuale) rappresenta una fonte illuminante d’ispirazione. Ebbene, scrivi di più quando ricevi amarezze o quando ci sono degli aspetti sereni ed empatici? Già hai date per presentare l’album? ''Quando scrivo di amarezze, mi aiuta a scioglierle e a capirle meglio. Gli aspetti sereni e empatici mi fanno volare e cerco con più difficoltà, devo dire, di trascriverli in parole e musica per ricordarmi e ricordare che il mondo è strapieno anche di bellezza. Per quanto riguarda le date, ne ho una piuttosto vicina: il 23 aprile a Roma, in un locale che si chiama ‘Le Mura’, a San Lorenzo''.

Augurando ottime prospettive, salutiamo Lalla Bertolini con l’auspicio che il suo album possa far riscoprire il buon sapore del vero songwriting cantautorale. (Max Casali)