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LEONARD COHEN   "Live Teatro degli Arcimboldi Milano 23-10-2008"
   (2008)

Due dei più importanti autori della storia del rock sono finalmente arrivati quest’anno a Milano. Dopo la splendida tre giorni di Tom Waits, il Teatro degli Arcimboldi ha infatti ospitato Leonard Cohen. Ma se tutti ci aspettavamo dal primo uno spettacolo sorprendente, data la caratura artistica del personaggio in questione, per Cohen, un uomo di 74 anni, restio a mostrarsi in pubblico, riservato, lontano da atteggiamenti tipici del mondo dello spettacolo, un uomo di pensiero, più un letterato che una rockstar, non ci si attendeva altro che grandi canzoni. Invece il canadese ha saputo sorprendere tutti, per bravura, comunicatività e capacità di coinvolgere il pubblico per oltre tre ore. A cominciare dall’ingresso sul palco saltellando sicuro verso il microfono, per eseguire il primo brano mezzo inginocchiato davanti al chitarrista. Accompagnato da una band impeccabile di sei musicisti e tre coriste, tutti vestiti in nero, ha proposto il meglio del suo repertorio, cioè alcune delle canzoni più belle della storia del rock, con una voce splendida, calda e toccante. Da ''Dance Me To the End of Love'', su cui accenna passi di danza, a ''Ain’t No Cure for Love'', aperta da un bell’intro di sax; da ''Bird On A Wire'', cantata quasi sotto voce, a ''Everybody Knows'', altra grande interpretazione di Cohen, punteggiata dalla steel guitar. Apre la seconda parte da solo seduto al piano con ''Tower of Song'', a cui seguono in sequenza capolavori del calibro di ''Suzanne'', eseguita imbracciando la chitarra acustica, ''The Partisan'', accolta da grandi applausi, l’immortale ''Hallelujah'', cantata ancora mezzo inginocchiato di fronte al pubblico, che lo accompagna in coro per il ritornello, giocata su toni quasi gospel e un bell’accompagnamento all’Hammond. Capace di scherzare e prendersi in giro (sulla coda di ''Tower of Songs'' dirà che la risposta a tutti i problemi è “da doo run run da doo run run”), come anche di trasmettere concetti seri e pesanti, ma sempre con estrema leggerezza (''Democracy'', presentata come la sua “love letter to U.S.A”) con cui esprime il suo pensiero sull’America di oggi). Chiusura con ''I’m Your Man'', e nuova presentazione della band. Dopo più di due ore di concerto, spezzate da un breve intervallo, esce saltellando come un ragazzino, per rientrare subito dopo chiamato a gran voce dal pubblico, per una serie di bis mozzafiato. Si parte con ''So Long Marianne'', e il pubblico è già tutto in piedi sotto il palco a cantare a gran voce, come si trattasse di una vera e propria rockstar. Ma alla bellezza di “So Long Marianne” davvero non si può resistere, a costo di sembrare dei piccoli fan davanti al proprio idolo, così come per le seguenti ''First We Take Manhattan'' e ''Famous Blue Raincoat''. Chiusura definitiva con un brano a cappella cantato da tutta la band e con Cohen che canta ironicamente “I’m trying to leave You…” e chiude con “this old man is still working for You…”. Cohen ha saputo incantare il pubblico come pochi altri sono in grado di fare, con canzoni uniche e davvero immortali, per un artista che ha lasciato un segno indelebile nella musica del ‘900, e in chi era presente a questo concerto, a cui l’Artista ha regalato emozioni indimenticabili. (Giorgio Zito)