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THE CURE   "Live Brixton Academy Londra 25-02-2009"
   (2009)

Per i prestigiosi NME Awards 2009, il New Musical Express, il più celebre tra i magazine britannici, ha in programma la consegna di un premio (GODLIKE GENIUS) alla band capitanata da Robert Smith. L’annunciato “Shockwaves NME Awards 2009” si divide in due serate: la prima incentrata sui riconoscimenti agli artisti e, il giorno successivo, un concerto presso la O2 Arena (l’ex Millenium Dome). Gli organizzatori, tuttavia, hanno previsto uno spettacolo musicale anche per la giornata dedicata alla cerimonia di consegna dei premi, alternando ai riconoscimenti per le band, deliziosi mini concerti presso la Brixton Academy, incantevole e prestigiosa arena posta a sud di Londra. Ad anticipare i Cure, si alternano sul palco prima i Friendly Fires e gli Elbow, poi i Glasvegas ed infine i Franz Ferdinand, per una serata che, in sostanza, anticipa il “Big gig” del 26 febbraio. Per i Cure sarà un’esibizione decisamente ridotta rispetto alle consuete maratone che Robert Smith e soci regalano ai fan. Sì, per capirci, non saremo di fronte alle consuete (per i Cure, ovviamente) tre ore di show (o addirittura tre ore e quaranta minuti che la band impiegò per mettere la parola fine all’ultimo concerto tenuto a Parigi!), dovendoci accontentare di uno spettacolo lungo poco più di mezz’ora. Ma questa situazione anomala rende ancor più evidente il clima festaiolo di oggi, creando nell’appassionato ulteriori aspettative. Lo stesso Robert Smith, nelle settimane scorse, dichiarò quanto difficile sarebbe stato lo sforzo dei Cure per la serata odierna: “…dover concentrare trent’anni di carriera in trenta minuti di spettacolo!”. Ed è festa generale proprio per tutti. Dal pubblico di appassionati che è riuscito ad accaparrarsi il biglietto e che si godrà lo spettacolo dalla galleria, ai VIP che seguiranno lo show seduti ai tavolini posti sotto il palco (in attesa delle nomination e delle relative consegne dei premi). Così, attraverso lo schema visto svariate volte in televisione (cerimonia degli Oscar in testa), un personaggio famoso è invitato sul palco per leggere i papabili vincitori nelle rispettive categorie; lo schermo proietta il nome dei candidati e la celebrità si cimenterà nella fatidica frase “…And the winner is…”, con la quale il premio viene finalmente assegnato. Il teatro ci appare da subito incantevole, ancorché anacronistico: è piccolo (massimo 3/4000 posti) e un po’ pacchiano (con quelle costruzioni che ci ricordano i vecchi teatri vittoriani). E, quindi, via alla festa, con celebrità che chiamano altre celebrità. Segnaliamo i premi per i Muse nella categoria live band (premiati da un’ancora affascinante Grace Jones); MGMT vincitori quale migliore rivelazione dell’anno e miglior brano dell’anno; Pete Doherty (il miglior cantante solista); Kings of Leon vincitori nella prestigiosa categoria del best album; e infine gli Oasis che, seppur non presenti, ricevono il premio per essere la miglior band britannica (l’intera Arena si ribella e fischia il verdetto del NME). Per i vincitori scatta il momento della passerella sul palco e delle frasi di ringraziamento, a cui segue la consegna materiale del trofeo che, come noto, ha la forma di un pugno chiuso con un dito medio posto bene in alto e in evidenza (forse non molto fine, ma sicuramente efficace). Ma quando alla fine della serata viene chiamato sul palco Tim Burton per annunciare il vincitore del GODLIKE GENIUS (una sorta di premio alla carriera), tutti sono ben consapevoli che è arrivato il momento di Robert Smith. Anticipato da un filmato che ripercorre alcune delle sue tappe artistiche, il leader dei Cure sale sul palco per ricevere il suo dito medio. Poche parole di ringraziamento e subito Robert Smith raggiunge il resto della band (Porl Thompson , Simon Gallup e Jason Cooper) on stage per dar vita al mini show di oggi. Il clima non può che suggerire una performance legata al versante pop del gruppo. Ed è “Lullaby” che, posta in apertura, inizia a far ballare la Brixton Academy. “The only one” ci ricorda, invece, che nel 2008 i Cure hanno dato alle stampe un album eccellente, mentre “Friday I’m in love” è tanto scontata, quanto apprezzata. I quattro Cure sembrano motivati e con la giusta concentrazione (non deve essere facile suonare davanti ad una galleria di fan a cui si contrappone un parterre di colleghi cantanti e musicisti). Il singolo che lanciò l’album “The Cure” del 2004 (“The end of the world”) è una delle esecuzioni meno aspettate di oggi, mentre “Inbetween days”, “Just like heaven” e “Boys don’t cry” sono canzoni che trovano più che mai la giusta collocazione in una serata di baldoria e gioia come questa. Quando la chitarra di Smith inizia “10.15 Saturday night”, i Cure sono pronti ad autocelebrarsi nel loro primo periodo punk – post punk, e con “Killing an arab” il boato del pubblico è decisamente quello più alto di tutta la serata. Conclusione da dieci e lode. Un saluto al pubblico e l’ennesimo thank you, prima di abbandonare il palco. Un concerto decisamente particolare e con tempi dettati dalle esigenze televisive, ma condotto con genuina spontaneità da un artista inarrivabile che, anche oggi, non si risparmia nel mostrare la sua infinita classe. (Testo Gianmario Mattacheo - Foto Silvia Campese)