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BRUCE SPRINGSTEEN   "Live Stadio San Siro Milano 03-06-2013 "
   (2013)

Cosa spinge una persona a tornare, praticamente ad un solo anno solare di distanza, ad assistere ad un concerto di Bruce Springsteen and the E street Band? Un buon fan avrebbe almeno una centinaio di risposte pronte. Non appartenendo alla categoria, chi scrive non ne possiede neppure una. Mi viene in mente quel dubbio cantato dalla Mannoia in “Che sarà che sarà” o quello ancora più bello della coppia De Gregori/Dalla quando intonavano “Cosa sarà”, per dire, insomma, che una ragione specifica non esiste. O, almeno, l’unica ragione che spinge una persona, affezionata a tutt’altre corde musicali, a tornare a casa Springsteen risiede nel fatto che l’americano è una vera macchina da concerti; in quest’ottica, i generi musicali perdono (almeno in parte) la propria ragion d’essere, lasciando esclusivamente lo spazio all’energia, ai muscoli ed al sudore. Queste sono le caratteristiche di Springsteen and the E street Band ed è questo che imparammo (da completi neofiti) proprio un anno fa. Siamo ancora all’interno del “Wrecking ball tour”, proseguito nelle intenzioni dei protagonisti, per dare seguito e continuità a quei concerti che hanno accompagnato l’ultima fatica discografica del cantante del New Jersey. Ormai considerato archiviato il discorso tanto dibattuto (e da noi accarezzato con il report di un anno fa) circa l’opportunità che la E Street Band continui a suonare anche senza la presenza di due membri storici, possiamo semplicemente mettere la parola fine alla questione. La morte di Danny Federici e, soprattutto, quella di Clarence Clemons hanno minato come mai si potrebbe immaginare l’esistenza del gruppo, facendo storcere (almeno ad alcuni) il naso se sia ancora il caso di mantenere il nome originario per una band che è stata esempio per generazioni di musicisti. Come noto, il dubbio lo hanno proprio risolto i musicisti, capaci di mantenere alto e sempre presente il ricordo dei dipartiti soci, ma continuando, al tempo stesso, a porre in essere live show di impareggiabile energia. Ed allora, facciamo un reset e torniamo a San Siro, ovvero la prima e la più amata location concertistica italiana del Boss. La folla ed il tradizionale sold out sono un’ovvia conseguenza quando i nomi in cartellone hanno questo impatto, musicale certamente, ma anche mediatico. Nonostante la calca, si riesce a vivere i momenti del pre concerto con una certa dose di rilassatezza, condizione favorita dal fatto che l’età media degli intervenuti supera di qualche lustro un pubblico alla Justin Bieber (per rendere l’idea, insomma). “Wrecking ball” si diceva; un album ormai ampiamente digerito dai fan (un lavoro di qualità ed ispirato) e rodato live dalla band, attraverso quasi due world tour, nell’arco di due anni. Inutile ribadire che i musicisti non si limiteranno ad eseguire pigramente la scaletta dell’album del 2012, suonando, per contro, una moltitudine di classici che aspettano solo di essere condivisi dai sostenitori, in urla liberatorie. C’è chi scherza prima del concerto su un probabile inizio folgorante del Boss, ricordando l’ingresso sul palco, nel recente concerto di Napoli, quando “O sole mio” rappresentò il saluto ad una Piazza del Plebiscito completamente catturata dalla genuinità e dalla spontaneità dell’artista; beh, in questa occasione i più “milanesi” della folla di San Siro vorrebbero (almeno per la par condicio) ricevere alcune note di “Oh, mia bela Madunina”! L’inizio, quando sono passati da pochi minuti le 20.00, è invece, quello che non ti aspetti: al completo (o quasi, visto che manca ancora la moglie Patti Scialfa) la E Street Band snocciola “Land of Hope and dreams”, giusto per ribadire che i grandi artisti non fanno mai concerti fotocopia. Ancora illuminati dal sole milanese, la band è sempre più affiatata ed il capobanda è intrattenitore prima ancora che cantante e chitarrista; è il vero ed unico collante del gruppo e la linfa vitale per il proprio pubblico. Springsteen è attento a tutto ciò che gli accade intorno: da un lato coinvolgere più intensamente i propri compagni di squadra (spinti, di riflesso, a dare di più… si legga soprattutto la sua spalla naturale Little Steven), e dall’altro sente l’esigenza di dare energia al pubblico delle prime file. Ecco, allora, che iniziano le interminabili camminate su e giù per il palco. Si alzano le mani del pubblico alla ricerca di un contatto, mentre il piccolo grande leader americano canta e butta fuori l’energia di una musica consacrata da più di quarant’anni di successi. Le canzoni di “Wrecking ball” hanno già acquistato un posto di diritto tra quelle che meritano una selezione tra la scaletta live. Sì, insomma, il loro ascolto non rappresenta soltanto un atto dovuto di promozione discografica, ma alcune canzoni sono accolte con entusiasmo e aspettate dai fan. Facciamo soprattutto riferimento alla canzone che intitola l’album, ma anche a “Death to my hometown” o, ancora, “Shackled and drawn” (peccato, invece, che sia stata accantonata “We take care of our own”, un piccolo prodigio di rock trascinante). Un concerto è fatto di tante piccole istantanee che saranno i personali frammenti di un puzzle. Di questo puzzle un tassello indelebile sarà rappresentato da “Out in the street”, la canzone del 1980, tratta dal celebre “The river”. Si diceva sopra di come i generi si possano confondere o perdere di significato, se il vero termine di paragone è la musica e la qualità degli artisti. Con questo brano (forse perché proposto ad inizio concerto) il pubblico si libera in un abbraccio totale e liberatorio verso il Boss nella cornice di una canzone che potremmo definire di puro rock popolare. Che Springsteen sia particolarmente affezionato allo stadio San Siro e alla città di Milano è cosa nota. Non manca di ricordare il suo primo concerto italiano in questa sede e, tra una canzone e l’altra, urla a squarciagola il nome dello stadio. A sorpresa, inoltre, dice che per omaggiare la prima volta a San Siro (quando si promuoveva “Born in the U.S.A.”) verrà suonato per intero l’album campione d’incassi ed ormai targato 1984. Non ci sono sorprese di sorta, allora, se diciamo che le più osannate risultano quelle bombe di rock commerciale che hanno contribuito a rafforzare il mito di Springsteen. Dalla canzone che intitola l’album, a “Glory days”, passando per “I’m on fire” e “Dancing in the dark”, il pubblico si gode un momento di partecipazione collettiva. In “Dancing in the dark”, segnaliamo ancora il siparietto in cui Springsteen fa salire qualche ragazza delle prime file sul palco: sono balli, sono abbracci e sono momenti di festa che, sicuramente, quelle ragazze non dimenticheranno mai. Passano i minuti e si guarda spesso il contesto offerto dallo stadio San Siro e dalle persone che sanno renderlo un tempio vivo. Sì, perchè qui di persone ce ne sono proprio tante; “Sai, verrò anche io a Milano a vedere il Boss… e voi dove starete?”. Ecco che si incrociano i destini di molti, mentre si guarda tra la folla pensando a percorsi paralleli. Un contesto dove il “tutti insieme” acquisisce sempre più purezza, senza la solita e ritrita retorica di un buonismo stucchevole. Un momento delizioso si raggiunge con l’accoppiata “Hungry heart” (il lato romantico del rock) e “Badlands” (quello impetuoso), mentre con il cavallo di battaglia di “Born to run” la E street Band mette la firma più importante al documento di stasera. Ci sono almeno due momenti vitali e più “importanti” durante un concerto: l’ingresso ed i saluti finali. Bruce Springsteen conosce l’importanza di un evento live e, proprio per questa ragione, tende a prolungare la sua performance, cercando di trovare energie nascoste e regalando le ultime pillole d’energia ai suoi sostenitori. È in quest’ottica che si devono leggere le prove di un’oceanica “Twist and shout” e di una più intima “Thunder road” che mette, dopo tre ore e mezza di canti e balli, la parola fine allo spettacolo. Con ancora negli occhi la maratona dell’anno passato (forse il concerto scorso regalò ancora qualche minuto in più!), ci troviamo piacevolmente immersi nel medesimo film. Un film fatto di artisti stremati, di fan esausti ma ancora partecipativi, di energia residua, di sudore e spontaneità… di rock. Rock e basta. Dopo due volte, penso di averlo capito anche io. È questo un concerto del Boss. (testo Gianmario Mattacheo; foto Adriana Bellato)