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   (2024)


ENRICO RUGGERI "Live Arena Megaplex Tortona AL 28-06-24"
   (2024)

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THE CURE   "Live Royal Albert Hall Londra 28-03-2014 "
   (2014)

Ma questo racconto non lo avevamo già sentito? In parte. Solo in parte. Il 2014 parte forte per la band di Robert Smith. Prima le voci sempre più consistenti circa l’uscita di un nuovo album in studio (quanto crederci?), e poi l’annuncio di due concerti consecutivi alla Royal Albert Hall di Londra. Come sempre sensibili alle iniziative di beneficenza, i Cure rispondono ancora affermativamente a Teenage Cancer Trust, ed in particolare a Mr. Roger Daltrey, voce storica degli Who e testimonial dell’Associazione (il cui fine è quello di dare sollievo e sostegno ai bambini malati di cancro). Terza assoluta per la band presso il teatro più bello e prestigioso di Londra. La prima fu proprio in occasione di un’edizione del Teenage Cancer Trust, mentre la seconda coincideva con il Reflection Tour, quando Smith e soci mettevano in scena i primi tre album della ditta, in quello che, molto probabilmente, si sarebbe dimostrato il più eccezionale concerto di casa Cure. Immutato rimane l’impatto emotivo quando si entra in questo pezzo di storia londinese. Il sold out (biglietti esauriti nel giro di pochi click) crea un impareggiabile effetto scenico; immensa, raccolta ed intima allo stesso tempo, la Royal Albert Hall non ha, verosimilmente, eguali in tutto il mondo. È facile, dunque, immaginare l’emozione e l’aspettativa, e se a quanto detto aggiungiamo che a suonare saranno Robert Smith e soci, sono davvero poche le parole che possiamo utilizzare in questo scontato preambolo. Vestito nero d’ordinanza per tutta la band quando, sul fare delle 19.30, si affaccia alla platea della Royal The Cure, cristallizzatisi nella line up apprezzata dal tour europeo del 2012: Robert Smith, Simon Gallup, Jason Cooper, Roger O’Donnell e Reeves Gabrels. “Plainsong”, la gemma romantica di “Disintegration”, ha il compito anche in questa occasione di aprire lo spettacolo. Al buio, i quattro Cure sono anticipati dall’inconfondibile introduzione musicale, praticamente sommersa dal vociare sempre più forte della folla delirante. Molto spazio viene dedicato all’album del 1989; da una veramente intensa “Prayers for rain”, passando per il delizioso viaggio di “Pictures of you”, a “Lullaby” e “Lovesong”, attraversando una coinvolgente “Fascination street”, e concludendo la prima parte dello spettacolo con la maratona estenuante di “Disintegration”, brano che mette sempre a dura prova la resistenza delle corde vocali del leader. In mezzo, veramente tanta roba (direbbe la next generation). “Doing the unstuck” è trascinante, mentre “The end of the world” è diventato un classico degli appuntamenti live, e “The walk” è il fantastico connubio tra dance e rock (impossibile rimanere insensibili al ritmo del pezzo). Quanda scatta l’ora di “Inbetween days”, la piccola arena dell’Albert Hall si scatena in balli carichi di passione. È proprio il singolo di “The head on the door” uno dei pezzi che più si giova delle ritrovate tastiere di O’Donnell; un clima più arieggiante e svolazzante che, comunque, non fa perdere l’immediatezza della melodia di questo evergreen pop. Stessa cosa dicasi per “Friday I’m in love” in cui è davvero difficile vedere chi, all’interno dell’arena, si astiene dal cantare la bomba commerciale di “Wish”. Con “Push” assistiamo ad un coinvolgimento superiore sia da parte del pubblico, sia da parte degli artisti. La platea è intenta nel solito perenne movimento atto a guadagnare pochi centimetri verso il palco, come se fosse possibile raggiungere la sei corde di Smith od aggiungere ancor più sentimento al momento live. “One hendred years” porta alla Royal Albert Hall quel clima così deliziosamente angosciante, tale da far considerare il brano d’apertura di “Pornography” come uno degli episodi live più aspettato. Quasi a dimenticarsi lo spettacolo di domani, la band non gioca al risparmio, incalzando un brano dietro l’altro; è alta ancora l’intensità dei brani tratti da “Seventeen seconds”, e con “If only tonight we could sleep” si raggiunge uno dei vertici assoluti di questo concerto. Quando osserviamo Jason Cooper prendere le pagliette, capiamo che è il momento jazz della serata ed allora la Royal Albert Hall può cantare in coro “The lovecats” in una festa generale. Clima che continua con tutto l’encore pop, in cui “Catch” (Robert si diverte mimando una presa area), “Let’s go to bed”, “Freakshow” e “Close to me” si fanno apprezzare al meglio. Il solito concerto fiume pare che non voglia proprio finire, mentre il gruppo sforna canzoni a ripetizione. Osserviamo Smith e Gallup incrociare i rispettivi sguardi, quando la fatica inizia a farsi sentire, ma interpretando comunque una voglia perenne di rimane sul palco. Poi, l’atteso gran finale punk in cui il primo singolo del gruppo mette il sigillo a questa follia durata più di tre ore e mezzo. Rimanere in pista, dunque, cercando di cogliere l’unicità di ogni singolo momento, assaporando l’energia che si respira in questo teatro e che il popolo dei Cure non fa mai mancare (fosse anche il più becero dei palazzetti dello sport). Sì. Perché di energia, se ne è respirata tanta anche stasera. Ci sono giorni in cui è proprio difficile. In quei giorni può capitare che le cose non girino nel verso giusto. Magari può anche capitare di sentirsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, mentre lo sconforto inizia ad avere la meglio su tutto il resto. Poi, come in un niente, tutto cambia. “Let’s get happy!”. (testo e foto: Gianmario Mattacheo)