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   (2024)

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THE CURE   "Live Hammersmith Apollo Londra 21-12-2014"
   (2014)

Un regalo di Natale quanto mai gradito, quello che Robert Smith e soci hanno voluto dedicare ai propri fan. Una doppietta di concerti (divenuti tre in corso d’opera, con la data del 23 dicembre) per festeggiare a suon di musica i classici del repertorio. Non un tour, dunque, ma “solo” tre spettacoli in tre sere in cui la band decide di giocare in casa scegliendo uno dei teatri più storici della capitale inglese. Finalmente arriva per il sottoscritto il momento di vedere all’Hammersmith Apollo il gruppo di Smith, dopo che nella medesima location ebbi l’occasione di gustarmi gli spettacoli di Stooges, Suicide e Sonic Youth. Ancora Londra, si diceva, dopo aver lasciato la band impegnata in quell’estenuante uno-due alla Royal Albert Hall di fine marzo. Certo, l’Hammersmith non ne può riprodurre la magia, ma rimane un teatro dalla suggestione altissima in cui si respira una storia davvero invidiabile. È come se le pareti dell’Apollo fossero impregnate di tutte quelle note musicali riprodotte nel tempo da grandi artisti: mitici gruppi che ne hanno accresciuto il nome contribuendo a rendere ancor più speciale il luogo. Ad anticipare il main event, si presentano sul palco gli And Also the Trees, grande band che, seppur a singhiozzi, procede una carriera di ottima qualità musicale, fin dai primi anni ottanta. Da quell’album omonimo che, prodotto dall’ex Cure Lol Tolhurst, scelse il filone più oscuro e minimale del post punk. Il perché si sia arrivati agli And Also The Trees quale band di supporto, trova una risposta nelle parole del chitarrista Justin Jones, quando attraverso i canali web della band dichiarò di essere continuamente in contatto con Robert Smith. Jones aggiunse che fu proprio Smith, colpito favorevolmente dall’ultimo lavoro in studio degli AATT (“Hunter not the hunted”), a chiedere al gruppo di unirsi per alcuni concerti, e quando si presentò l’occasione di queste date natalizie all’Hammersmith Apollo, tutte le richieste e gli inviti trovarono risposte positive. Alle 20.00 i Cure fanno l’ingresso sul palco. L’ovazione è forte quando la risata priva di gioia di “Shake dog shake” ha l’onere di fungere da apripista. L’adrenalina scorre subito a fiumi nel pezzo più collerico di “The top”. L’urlo di Smith, le risposte altrettanto violente del pubblico e le chitarre impetuose creano da subito un impatto sonoro altissimo, reso ancor più godibile dall’ottima acustica dello storico teatro. Con il primo pezzo, in realtà, Smith e soci fanno una scelta ben precisa: riprodurre nella sua totalità “The top”, l’album che in questo 2014 spegne le trenta candeline (solo la conclusione del concerto ci avrebbe rivelato questa scelta artistica, in quanto i brani di quell’album sarebbero stati proposti random ed intervallati dalle - MOLTE- canzoni del restante repertorio Cure). Ed allora, sul versante “The top” ci piace segnalare il pezzo che titola l’album (dopo il primo encore): lento, narcotico e struggente, rimane una perla ed un regalo nella sua versione live. “Wailing wall” e l’incantevole “The empty world” (soprattutto) sono canzoni che il fan di vecchia data desiderava ascoltare da molto tempo, mentre “Dressing up” è uno dei brani migliori dell’album del 1984, omaggiato con questo concerto. Il grande cantante e chitarrista appare particolarmente sereno e perfettamente a suo agio sul palco. Dialoga frequentemente con il pubblico e si trova spesso a sorridere, mantenendo tuttavia, in ogni momento dello show, il controllo totale della situazione. È lui che in più occasioni impartisce gli ordini agli addetti al suono e contestualmente detta i tempi agli altri musicisti. Simon Gallup, impeccabile nel suo look da biker rockabilly, è da sempre la spalla ideale del leader, Jason Cooper (batterista di lunga data) è iper-attento a non perdersi gli “ordini” del capitano, mentre Roger O’Donnell, nel suo look da paggetto, non perde occasioni per sfoggiare sorrisi di plastica, e Reeves Gabrels non sembra ancora entrato nel mood giusto delle canzoni scritte da Smith. Tra i brani che hanno lasciato il segno sugli altri, ricordiamo una non scontata “Like cockatoos”, accolta benissimo dalla platea, e “Charolotte sometimes”, che con il suo muro di tastiere rappresenta una delle più belle gemme dark wave del primissimo periodo. “Close to me” è, sul versante easy, una di quelle canzoni che meritano il costante inserimento in scaletta, mentre su quello del romanticismo puro è per “Pictures of you” che ci sentiamo di ripetere le medesime espressioni. Il brano rappresenta, inoltre, anche il momento in cui Smith e Gallup si trovano a parlare e sorridere, confermando la sintonia ed un’amicizia che dura dalla fine degli anni settanta. “Want”, anticipata da un urlo liberatorio del leader durante l’introduzione musicale, è perfetta e speculare rispetto alla versione in studio, “One hundred years” è un macigno che porta il dovuto clima nichilista nell’arena, e con “Give me it” la band riesce a ricreare quei momenti di follia rumorosa che ne fanno una delle esecuzioni più sorprendenti di questo concerto. Verso la conclusione, alcuni inconvenienti tecnici al basso non impediscono a Simon Gallup di suonare; pur se da accovacciato e continuamente in contatto con il proprio roadie, il bassista riesce ad essere efficace e rimanere attaccato perfettamente ai pezzi proposti on stage. Uno dei momenti più alti di stasera si ha quando “Three imaginary boys” anticipa “M”, “Play for today” ed “A forest”, quale mini set di canzoni di provenienza “Seventeen seconds”. “A forest”, per chi non lo sapesse ancora, è la summa del Cure sound. Una sintesi, invero, alquanto precoce, se consideriamo che l’inno di “Seventeen seconds” spegnerà, nel 2015, le 35 candeline! Quando arrivano le tastiere di O’Donnell, il pubblico incalza la band con una partecipazione sempre viva, accompagnando i musicisti in una corsa dalla durata di 7 minuti. Una canzone che non sente il peso degli anni; come se un incantesimo oscuro le avesse donato la capacità dell’autorigenerazione, lasciando a noi il piacere di riscoprirne il suo rinnovato potenziale, ascolto dopo ascolto e con continuo trasporto. Quando Robert si avvicina al microfono, confessando che anche stasera ha sforato sul tempo concessogli dall’organizzazione (…ma che “Oggi va bene lo stesso perché è Natale!!!”), comprendiamo una volta di più come questo ragazzo immaginario sia nato per stare sul palco e fare del suo lavoro la sua grande passione e, al contempo, la gioia più grande e genuina dei suoi fan. Ultima fatica, allora, con ultime canzoni snocciolate a ritmi incalzanti, in cui una sorprendente “Hey you”, da “Kiss me kiss me kiss me”, rappresenta il sigillo definitivo. Tre ore abbondanti di spettacolo per l’augurio natalizio più eccezionale che si potesse desiderare . (TESTO E FOTO: GIANMARIO MATTACHEO)