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   (2024)

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THE CURE   "Live Accor Arena Parigi 28-11-2022"
   (2022)

Due volte a Parigi in pochi mesi non mi era mai capitato, ma un concerto sotto la Tour Eiffel deve essere visto, espressione di un momento imprescindibile per un tour dei nostri.

Il palazzetto è quello di Bercy (ora chiamato Accor Arena), luogo in cui i Cure suonarono nel 2008. Ricordo ancora perfettamente quella “pazzia”; un’esibizione che sfiorò le quattro ore e mezza (ma riuscirei oggi a resistere? Dubito) e una band molto diversa da quella attuale, con qualche elemento in meno… ed un Porl Thompson in più (purtroppo ora c’è Gabrels).

Decisamente coccolati i blu di Francia, che con quest’ultima data nella capitale arrivano addirittura a otto concerti, e una delle motivazioni di tale scelta è ben evidente dall’entusiasmo che accompagna i concerti della band.

L’ampio palazzetto parigino è già colmo per metà quando iniziano a suonare i Twilight Sad che, anche qui, si fanno apprezzare con un’esibizione di livello. Il Crepuscolo Triste è una piacevole anticipazione del main event, e quando parte “There’s a girl in a corner” (brano pubblicato anche su 45 giri con la partecipazione di Robert Smith) non fatichiamo ad ammettere emozioni.

Ma veniamo a noi. Dopo che i roadie hanno sistemato e preparato i ferri del mestiere, tutto è pronto per lo show, mentre il boato diventa assordante quando entrano in scena i Cure per l’ultima esibizione francese del tour.

Dagli altoparlanti arrivano i tuoni che anticipano il buio in sala, il cielo stellato sul maxischermo e, infine, l’entrata dei nostri.

“Alone”, “Pictures of you” sono l’ariete che fa breccia da subito nel cuore dei fan, e poi è pura estasi l’accoppiata dell’amore, prima quello più leggero e romantico di “Lovesong” e poi quello più maturo, forse triste e raccolto, di “And nothing is forever”.

La malinconia della serata si eleva ancora di più quando Robert Smith annuncia una canzone da “Bloodflowers”: “The last day of summer”, anche se non sempre proposta durante il tour, ha una sua perfetta collocazione, interpretando alla perfezione il mood così intenso che caratterizza quest’autunno di concerti.

“A fragile thing”, delle nuove canzoni, è ancora quella che mi sembra brillare con minore intensità, ma quando arriva “Charlotte sometimes” il pubblico francese sembra perdere la testa per quel singolo targato 1981, e con “The figurehed” lo stato di godimento dei transalpini si mantiene ad un livello di eccellenza.

E vai a capire perché alcune canzoni ti fanno un effetto diverso di volta in volta. Oggi è il caso di “Faith”, che mi sento di eleggere a brano della serata; praticamente non c’è un centimetro della mia epidermide rimasta insensibile al capolavoro che diede il titolo al terzo album della band; poi, “A forest” ha gioco facile nel fare il resto, in cui la partecipazione del pubblico offre un colpo d’occhio aggiuntivo alla cornice presentata dal palco.

Le ultime 7 canzoni sono usate dai Cure per salutare al meglio e in festa i fan. Si impazzisce con “The walk” e “Close to me”, poi, quando arrivano i cuori di “Friday I’m in love” è più facile trovare l’acqua nel deserto, piuttosto che qualcuno che si astenga dal ridere o ballare.

Siamo quasi stufi dei detrattori (mai considerati, peraltro), ma mi piace riportare le parole che Massimo Giacon ha scritto in occasione della data padovana, mentre giustamente critica i sopraccitati denigratori o hater: “Ma che grasso! Ha fatto i capelli tutti bianchi! Alla sua età ancora quel rossetto e quella faccia truccata, ma sembra mia zia. Per dire giusto le cose meno offensive. Poi, dopo i primi concerti della tournèe mondiale… tutti zitti. Perché i Cure sono ancora qui, in barba a band più giovani”.

Ok, ma Giacon a parte, il problema è come chiudere queste righe di commento al concerto. Potrei usare alcune formule rodate e finirla in bellezza, senza lode e senza infamia. Ma la chiusa più giusta, in realtà, è ammettere che questa non è la recensione di un concerto, semplicemente perché quelli dei Cure non sono concerti. Sono dei viaggi. Ecco, ho trovato la chiusa. Fine. (TESTO E FOTO: GIANMARIO MATTACHEO)