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SIMPLE MINDS "Live Forum Milano 20-04-24"
   (2024)


DEPECHE MODE "Live PalaAlpitour Torino 23-03-24"
   (2024)

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PETER GABRIEL   "Live Arena di Verona 20-05-23"
   (2023)

L'Arcangelo Gabriel è tornato in Italia, nazione che ha sempre amato Peter, sin dai tempi in cui spopolava già da noi con i Genesis, quando in Inghilterra e in Olanda la band suonava ancora su bancali di pub sperduti (così almeno ci racconta Phil Collins, nel libro “No, non sono ancora morto”). Ebbene, gli italiani ancora gli hanno dimostrato affetto.

Dopo aver atteso dieci anni, dal 1992, per uscire con un nuovo album “Up” nel 2002, ora Peter Gabriel ci ha fatto aspettare più del doppio degli anni, per far uscire inediti. Se l'è sempre presa comoda, e in fondo è meglio così: vuol dire che quando torna, ha davvero qualcosa da dire. Quest'anno sta presentando il suo progetto “i/o”, cioè input output, come sempre d'ispirazione esistenziale e spirituale. E invece di fare uscire subito un nuovo album, ha deciso di partire direttamente con un tour europeo, partito da Cracovia il 18 maggio, e giunto in Italia per due date: Verona il 20 maggio, Milano il 21. A settembre poi partirà col tour americano.

Cosa significa questo? Significa che, a parte quelle poche canzoni che ci ha concesso di ascoltare online (una al mese, ad ogni plenilunio!), quando è il momento di ascoltare le novità, il pubblico è rimasto in religioso silenzio. Rivalorizzando il piacere della scoperta dal vivo, invece che fare un karaoke. Poi, Gabriel è stato bravo ad alternare in scaletta le novità ai suoi capisaldi: “Sledgehammer”, “Big Time”, “Diggin' in the dirt” (su cui ha cannato l'inizio, fermato tutti e chiesto di ricominciare, suscitando un'affettuosa ilarità).

Ecco, il rovescio della medaglia dell'essersi preso 21 anni di tempo, è che nel frattempo la voce ha fatto il suo corso, e come per tutti, giunti a una certa età, gli acuti potenti devi dimenticarli (chiedetelo a Ian Gillan). Ma il nostro non si è mai perso d'animo sul palco, pur non nascondendo smorfie di fastidio, quando era evidente che la resa vocale non era al 100%. E mi viene da dire: chi se ne frega. La grandezza musicale delle sue canzoni non è mai stata nelle melodie, bensì nel suo timbro oltremodo espressivo, nel particolare sound che mischia elettronica, incursioni etniche non occidentali e soul, e nelle sequenze armoniche non scontate, come quella di “Growing up” (eseguita in versione semi acustica). E, ultimo ma non ultimo, in quel micidiale tiro funky, garantito come sempre dal gigante Tony Levin al basso, e quel mostro di stile e potenza di Manu Katché alla batteria. In due parole: art rock. E si è sentito tutto questo, il 20 maggio a Verona.

Non starò ad elencarvi tutti i musicisti presenti, perché potete trovarli già presentati nel profilo Instagram dell'artista stesso, “Itspetergabriel”. Quel che mi ha colpito è stato il pubblico: ovviamente l'età media era sui 50 anni, forse io abbassavo la media coi miei 35, ma c'era una figlia 15enne (forse portata a forza dal padre). Nonostante l'età, in troppi momenti ho visto quella piaga dei cellulari sempre puntati a filmare. Capisco quei 15 secondi, giusto per dire: “Io c'ero”. Ma filmare intere canzoni di continuo... e godetevelo il momento!

Quando è arrivata “Soulsbury Hill”, si sono tutti alzati in piedi. Mai visto così tanto entusiasmo, per una canzone tutto sommato bucolica e tranquilla, anche se capisco che quella visione mistica è stata fondamentale, nella storia di Peter. Dopodiché, finito il primo bis (ovviamente con “In your eyes”), il secondo bis ha terminato il concerto a sorpresa con “Biko”. Generoso come sempre Peter, a chiudere la serata con la sua canzone dedicata all'attivista sudafricano.

Con Peter Gabriel non si può prescindere anche dall'aspetto scenografico. Beh, per i suoi standard, diciamo che questo è uno spettacolo tutto sommato “normale”: molte immagini sui megaschermi, conti alla rovescia, giochi di luci eccetera. Tutte cose care all'artista inglese, ma niente cabine telefoniche, niente giri in bicicletta, niente soffitti bassi per cantare a testa in giù. Ma a 73 anni, diciamo che forse è pericoloso! Le musiche nuove sono da riascoltare con attenzione. Ce n'è una di cui mi è sfuggito il titolo, ma per la quale, sugli schermi sono comparse delle dita medie alzate. Chissà con chi ce l'ha! Posso intuirlo. Resterò in attesa spasmodica dell'uscita dell'album.

Chiudo questo racconto con l'inizio: Gabriel si è presentato vestito in tuta arancione da operaio (ricordando la sua scelta del 1978, di vestire tutta la band con gilè arancioni, come si vede al Rockpalast), e si è sforzato di leggere in italiano delle battute sui chili che ha preso, e i capelli che ha perso. Poi si è accorto che nello schermo, partiva la traduzione simultanea, e ha detto: “C'è la traduzioni, well, I can speak in English now”. Comunicare e “connettere” è fondamentale per lui da sempre, e infatti la canzone principale del suo nuovo progetto, ricorda come siamo tutti connessi: “Stuff coming out, stuff going in, I'm just a part of everything”. Da ripetere come un mantra. (Gilberto Ongaro)