LUCA DI MARTINO "Spaisati"
(2025 )
Se il distacco dal grembo materno nel momento della nascita è un passaggio obbligatorio che coincide con l’esercizio del diritto alla vita, non lo stesso si può affermare relativamente ad altri distacchi avvenuti successivamente: migrazioni, separazioni tra coniugi o amici, figli che abbandonano i genitori o viceversa... e altre tristi partenze senza ritorno.
In un mondo sempre più sconfinato, in cui il desiderio di lasciare in fretta ciò che si conosce e di conquistare l’ignoto non incontra più nessun ostacolo, è facile perdere la propria anima senza nemmeno accorgersi di averla persa. Spesso “la libera circolazione delle merci e delle persone” diventa – per la seconda categoria elencata, cioè per le persone – causa di disorientamento e solitudine. O di spaesamento.
“Spaisati” è il titolo del secondo singolo facente parte del nuovo album in uscita firmato da Luca Di Martino, chitarrista, cantautore e compositore della provincia di Palermo. Mentre il primo brano, intitolato “Novi misi”, racconta con una rara delicatezza il miracolo della gestazione, “Spaisati” è un manifesto di resistenza contro lo spopolamento dei piccoli paesi del sud Italia e contro lo scioglimento dei legami forti una volta esistenti nelle comunità umane.
Entrambi i singoli sono cantati in siciliano, il che imprime una nota identitaria e al contempo dà all’ascoltatore la possibilità di giocare cercando di indovinare il significato delle parole tramite la somiglianza fonetica alle loro equivalenti presenti in italiano o in altri idiomi neolatini.
Creando “Spaisati” come autore del testo, della musica, della produzione e del montaggio della canzone con un suggestivo videoclip, Luca Di Martino s’ispira tra l’altro al pensiero di Vito Teti, scrittore calabrese che nelle sue riflessioni osserva come “al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare” e a cui appartiene la paternità del concetto di “restanza”, ovvero “speranza affidata a chi resta”.
Se il professor Teti – nel libro intitolato “La restanza” – tratta l’argomento da un punto di vista antropologico e alle volte pratico, Luca Di Martino lo fa poeticamente, con il suo stile artistico unico e difficile da contenere per intero nell’abito troppo stretto e rigido di una recensione scritta.
Il tema del partire e del restare, del viaggio senza una precisa meta, permea quasi come un’ossessione l’intera opera di maturità dell’autore siciliano. “Il richiamo e l’abbandono”, grazioso e profondo album strumentale per chitarra e loop pedal (802records, settembre 2023), evoca nei suoi titoli e nei suoi accordi la realtà liquida nella quale tante persone oggigiorno si muovono in una continua ricerca senza riferimenti.
Il brano con video “Mare di naufraghi” è significativo in tal senso, non solo per via del titolo, ma anche per le caratteristiche delle melodie e delle sonorità proposte.
In “Non importa la meta” (802records, febbraio 2024), il suo primo album da cantautore, la title track con video invita per mezzo del testo a percorrere il viaggio della vita, ma anche a saper RESTARE godendosi la lentezza e meravigliandosi come i bambini di fronte a ogni piccola cosa apparentemente banale del luogo in cui si resta: “Non importa se piove,/ Perderò anche la nave,/ Sarà buona la scusa per restare a guardare.../ Il tempo affonda nel mare”.
Ma torniamo a “Spaisati”. Il brano si apre con una conversazione telefonica tra due signori anziani, amici da una vita che ora s’incontrano raramente e passano gran parte del tempo ognuno nella propria casa. (C’è da notare la suoneria del telefonino, tipica dei primi modelli di cellulari apparsi sul mercato trent’anni fa: le persone non più giovani mantengono ancora i ritmi naturali della vita, restando immobili di fronte ai cambiamenti superflui delle tecnologie.)
I due “attori per un giorno” si chiamano Carmelo Bello e Chiazzese Alfonso e nella descrizione del videoclip su Youtube vengono ringraziati dall’autore “per la simpatia e la disponibilità per le riprese”.
Uno dei due signori è fotografato anche sulla copertina del brano mentre cammina da solo per le strade ormai deserte del paesello, Racalmuto (AG), e sempre da solo compare anche dietro il vetro della casa.
La solitudine è quindi la nota dominante, che colpisce fin dai primi versi: “O paisi nuddu nesci cchiù/ E io stasira passiu sulu” (“In paese nessuno esce più/ E io stasera passeggio solo”).
La solitudine fa perdere il senso delle cose, fa sembrare tutto uguale, muto e offuscato come in una distesa di nebbia, fino a far piangere l’anima: “Comu fumu c’annorva la vista/ Scurri nsilenziu u restu du tempu” […] “Comu fumu c’annorva la vista/ Sintuta lacrima ca vagna l’anima” (“Come fumo che offusca la vista/ Scorre in silenzio il resto del tempo” […] “Come fumo che offusca la vista/ Sentita lacrima che bagna l’anima”).
E la sensazione di isolamento viene poi amplificata da una metafora molto speciale: “Semu varchi luntanu du mari” (“Siamo barche lontane dal mare”).
Il tempo sembra far allontanare le persone ancor più dello spazio. Soprattutto quel tempo che “manca” ai rapporti comunitari perché siamo sempre di fretta: “O paisi nuddu torna cchiù,/ Nuddu avi tempu di perdiri” […] “E tu cridimi, se avissi tempu m’arristassi cca” (“Al paese nessuno torna più,/ Nessuno ha tempo da perdere” […] “E tu credimi, se avessi tempo rimarrei qui”).
Ma anche il tempo che fa crescere in fretta i bambini, tanto da non riconoscerli più quando poi, da grandi, vengono rivisti dopo anni di lontananza… Nella conclusione del brano, come se imitasse una persona anziana che rivede dopo tanto tempo una bambina tornata nel paese, Luca dice: “Cridimi, io un ti canusciu./ Di cu su figlia…? Criscisti lesta, bedda!” (“Credimi, io non ti conosco./ Di chi sei figlia…? Sei cresciuta in fretta, bella!”).
Ed è emozionante scoprire che lo stesso discorso viene spesso fatto anche da signori che abitano in paeselli di stati esteri, diversi dall’Italia: tutto il mondo è paese e forse le abitudini e le tradizioni locali riescono a tenere uniti i popoli molto più di quanto lo riesca a fare l’uniformazione culturale in nome del “villaggio globale”.
Sia nel testo che nella musica di “Spaisati”, sotto l’apparente tristezza, si sente sempre la fiducia viva nel ritorno alla verità di chi siamo. “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”, scriveva Cesare Pavese, e Luca riprende forse questo suo pensiero nel verso “U sacciu, un torni cchiù… ma tantu vegnu arrè” (“Lo so, non torni più… ma tanto vengo nuovamente”).
Sempre come se si volesse esprimere una speranza nella sconfitta della solitudine, tra l’inizio e la fine della canzone l’impostazione musicale segue un continuo crescendo. Con il prezioso aiuto di Aldo Giordano (che ha curato l’arrangiamento, la registrazione, il mixaggio e la masterizzazione e ha suonato le parti di piano e synth) e di Daniele Guastella ai cori, tutto quanto presso RECstudio di San Cataldo (CL), alla chitarra iniziale suonata da Luca e alla sua voce pacata si aggiungono
gradualmente altri suoni sempre più brillanti e ritmi sempre più animati.
È difficile capire la musica di Luca Di Martino soltanto leggendo delle “spiegazioni” scritte… Va ascoltata in prima persona… Solo allora ci si sente vivi e si può dire – come l’autore stesso dice in una sua bellissima canzone intitolata, appunto, “Poche parole” – “C’è un fiore sopra il cemento”.
Buon ascolto! (Magda Vasilescu)