SIAVASH AMINI  "Serus"
   (2019 )

La drone music di Siavash Amini ci porta una personale interpretazione della notte, di tutto ciò che il buio, il silenzio, la solitudine e quel leggero venticello sotto le stelle può suggerire. Il fascino per le tenebre di Amini ha attinto anche da uno spunto letterario, quello di Maurice Blanchot e del suo concetto de “l’altra notte”. Esistono due notti: la notte stellata, quella contrapposta al giorno, e la notte dei sogni, senza stelle, che fa riferimento ad un’altra dimensione. Il nuovo lavoro di Siavash, “Serus”, appena uscito per Room40 Records, contiene 4 tracce distese, senza indicazioni di tempo, che rendono l’adimensionalità e l’atemporalità di questa seconda notte. Il senso di altro da sé è continuamente espresso: in “A recollection of the disappeared”, il drone di fondo si apre insolitamente ad armonizzazioni, di settima e nona, e dopo 6 minuti intervengono contrabbasso e violino a restituirci una dimensione umana all’interno del non umano. Come l’astronauta di “2001 Odissea nello spazio”, quando trova l’ingresso nell’iperspazio, e porta la sua essenza a noi familiare, all’interno dell’ignoto. In “Sembiance”, ad un tratto udiamo una sorta di tentativi di comunicazioni, incomprensibili segnali: emblema dell’incomunicabilità, della distanza della notte. Infine c’è un terzo titolo, suddiviso in due capitoli: “All that remained pt.1” e “All that remained pt.2”. Qui l’elemento drone – alieno – inafferrabile, e l’elemento umano – sentimentale – riconoscibile, vengono separati. Il primo ha il sopravvento nella prima parte, per 10 minuti di alienazione e disorientamento. Il secondo, con contrabbasso e violino, tornano in maniera drammatica (nel senso etimologico di dramma, di narrazione emotiva, seppur asemantica). Gli archi suonano note lunghe e in tonalità minore, voci solitarie in mezzo al nulla, come il pianeta azzurro che vaga nella Via Lattea senza apparente scopo. La notte ci spoglia dalle nostre costruzioni sociali, dalla nostra microscopica e millenaria Storia, mettendoci di fronte all’universo e al tutto, senza darci risposte. (Gilberto Ongaro)