DURAME  "Fondamenta"
   (2022 )

Chi è amante del legno, o chi come me per puro caso si ricorda le lezioni delle medie, ricorda che i tronchi degli alberi sono composti di corteccia esterna, libro, cambio, alburno, durame e midollo. Il musicista Antonio Iannone in arte si chiama Durame, la parte più interna attorno al midollo centrale, quella che fa i famosi cerchi.

Il disco “Fondamenta” è musica sperimentale con approccio lo-fi, tra corde di basso acustico che stridono, field recordings che rappresentano un grigiore domestico ed esistenziale, synth disarmonici (spesso sceglie accordi diminuiti, o bordoni statici) e soprattutto, su questo impianto minimale, la voce che parla sonnacchiosa. Durame biascica spesso le parole, procedendo assonnato tra lattine del discount in fondo al letto e tavolette antitarme che “non servono a un emerito cazzo”. Sguardi microscopici, rivolti alla casa e ai suoi oggetti, con una specie di distacco servilliano, quasi depresso.

“Armadio” apre il disco, indugiando sui dettagli e sottolineando la ripetitività stagionale, facendola percepire come una gabbia: “Ho messo dentro lì tutte le schifezze degli ultimi tre anni (…) e anche stavolta il cambio di stagione avrà le sue grucce, che uso come armi bianche”. “Casavatore” è un comune della città metropolitana di Napoli, e qui l'attenzione va sul partner: “Le mie dita sul tuo girovita, l'odore fluiva, i tuoi capelli nel naso”. Ribadisco che non tutto è perfettamente comprensibile, in quanto Durame parla molto piano; rappresenta un dialogo interiore, sono quei pensieri detti fra i denti, magari pronunciati per sbaglio, mentre credi che li stia solo pensando.

Stessa cosa per “Asciugamano” e “Divano”, dove dopo un controllo del bonifico (c'è una chiara intenzione antipoetica, un realismo disincantato), Durame ci concede una frase cantata: “E adesso spiegami perché abbracciandomi con l'angoscia che corre dagli occhi, mi dici che la supereremo insieme”. “Tutto chiuso” sembra continuare lo stesso racconto, e le cose non vanno tanto bene, c'è rassegnazione: “Sforzo di credere che tu ti sia vestita così per me stasera, dopo anni resto incredulo, ti lascio adescare i tavoli mentre aspetti la pizza (…), tanto qui stanno chiudendo tutti, prima o poi chiuderemo tutto tutti. Tornerai a casa con un profumo diverso addosso, baciandomi la fronte per la buona notte, anche stavolta farò finta di dormire, mentre piangendo ti nasconderai in bagno, sotto il getto della doccia, stavolta non per masturbarti. Prenditi pure una pausa”.

“Mi sa che non servono più le parole, a vedere la resa negli occhi tuoi”. Inizia così la successiva “Resa”, costruita con percussioni, sferragliamenti delle corde, ed un loop di quattro note solitarie. Non ci sono rapporti armonici, così come il protagonista evita i rapporti: “Quella roba lì [sbrd?] nello specchio, risulta sterile, come gli auguri di Capodanno a tua madre, che non vediamo da un po'”. Il “Sogno” finale sembra inizialmente concedere un po' di dolcezza: “Ti sentivo dietro di me, avvolgendomi in un abbraccio o come i Ghostbusters mi sussurrasti 'Son qui, son qui', e ridevamo come matti”. Ma il sogno diventa presto un incubo: “Stupito dal senso di pace che avevo, girandomi vidi che non eri te”. E tra pad eterei ed inquietanti il brano e il disco si chiudono.

Il titolo “Fondamenta” può essere un indizio di comprensione. Come crollano le certezze musicali (in certi punti questa sembra la colonna sonora per un horror psicologico), così la casa in disordine rappresenta il crollo anche nei rapporti umani, e nella relazione d'amore, turbata dalla costrizione a tornare a casa “con un profumo diverso addosso”. Le fondamenta dell'esistenza sono crollate, e permane un senso di resa, che è quasi una richiesta d'aiuto per uscirne. Perlomeno, al “Cinema”, il quarto brano, c'è un momento di serenità: “Qua al cinema vuoto, da soli, aspettando il film, abbiamo tutto”. La sala tutta per sé è una delle poche soddisfazioni. Testimonianza della nostra alienazione. (Gilberto Ongaro)